Nello storico Teatro Trianon-Viviani diretto da Marisa Laurito, si apre la rassegna del mese di gennaio dedicata a Raffaele Viviani

3 min read
Nello storico Teatro Trianon-Viviani diretto da Marisa Laurito, si apre la rassegna del mese di gennaio dedicata a Raffaele Viviani

Napoli. Dal 6 al 14 gennaio 2024, nello storico Teatro Trianon-Viviani diretto da Marisa Laurito, si apre la rassegna del mese di gennaio dedicata a Raffaele Viviani.
In Prima assoluta, per il progetto di Nello Mascia “Viviani per strada” il terzo capitolo con “‘O cafè ‘e notte e ghiuorno” (Caffè di notte e giorno) e “‘Nterr’ ‘a ‘Mmaculatella” (Scalo marittimo).
La regia è di Nello Mascia, icona del teatro partenopeo e non solo, predilige un taglio che verte sulla coralità propria di Viviani. Ciò che penetra lo spettatore è l’atmosfera nostalgica, ma soprattutto l’attenzione al verso vivianesco, infatti ogni frase è vissuta e arrotondata pienamente   - ho dedicato molto tempo a far dire all’attore tutta la parola, perché Viviani o si fa così o è una sceneggiata- ci dice il regista.
L’autore stabiese è stato un grande protagonista della drammaturgia del XX secolo (pur se riconosciuto solo dopo la sua morte avvenuta nel 1950) lui stesso per sopravvivere faceva il macchiettista nei caffè-concerto, lì dove nacque la canzone napoletana. Uno scugnizzo il cui genio ebbe successo proprio per l’attenzione al linguaggio e al contesto storico che rappresenta, in opposizione alla borghesia napoletana raccontata dal contemporaneo Eduardo De Filippo.


Con l’avvento del fascismo e la chiusura dei variété, la sua teatralità divenne ancora più cosciente dell’urgenza di reinventare la prosa, di fotografare la vita mal digerita nei vicoli di una città impoverita dalla guerra.
Tra le luci noir di Gianluca Sacco, i personaggi dei caffè sono sorretti dalle musiche eseguite dal vivo da Mariano Bellopede (che firma anche gli arrangiamenti e cura la direzione musicale) con Francesco Del Gaudio alla tromba, Paolo Forlini alla batteria e Davide Afzal al basso. Dalla buca d’orchestra dell’ultracentenario teatro pubblico della Canzone napoletana nella piazzetta di via Vincenzo Calenda, si espandono note che creano un set malinconico, che ben ha interiorizzato gli eventi a cui assistiamo, decisamente lontani - dalla retorica di una città ubriaca di sole-.
Non volendo fare torto ai bellissimi costumi di Annalisa Ciaramella, alle coreografie di Ettore Squillace, nonché all’aiuto regia di Roberto Giordano che in uno spettacolo con 20 attori sarà stato più che prezioso, citiamo tutti gli artisti in scena, infatti con lo stesso Nello Mascia e la partecipazione di Giovanni Mauriello, ci sono Federica Aiello, Francesco Bellopede, Salvatore Caruso, Peppe Celentano, Francesco Del Gaudio, Angela De Matteo, Bianca De Matteo, Massimo De Matteo, Antonio Fiorillo, Antonio Maria Iorio, Pierluigi Iorio, Luca Lubrano, Roberto Mascia, Matteo Mauriello, Maurizio Murano, Serena Pisa, Ivano Schiavi e Federica Totararo .Tutti protagonisti e funzionali alla cornice storica e politica: un attore che recita istrionicamente il suo copione (Matteo Mauriello che nel secondo atto ci regala la canzone dell’emigrante), un giocatore sfortunato, una tavolata di un famiglia tra tante, un cameriere sbilenco, una tromba nostalgica, una prostituta che canta (Angela de Matteo). Sono -i personaggi che vivono la loro tragedia esistenziale con tutto lo scetticismo, la fantasia e l’autoironia di cui è capace il popolo napoletano-.


Ma è la “Signora” interpretata da Federica Totaro, che incarna l’emergere di quell’ attore comico degli inizi del Novecento. Mascia ha disegnato e restituito un sottoproletario contadino e urbano, che simbolizza quella drammaticità propria della tradizione che non allude alla farsa, ma al mondo sociale e concreto della fine della belle époque. Le scenografie sono di Raffaele Di Florio, e nel secondo atto, ci hanno letteralmente immerso nel porto, mentre la galleria centrale è diventata il piroscafo Washington che salpa alla volta dell’Argentina con il suo carico umano. Il maestro Mascia personifica un “mangiafuoco” che ben evidenzia come il dramma dell’emigrazione sia una accaduto mai concluso pur senza cadere nel melodramma, regalandoci una moltitudine di dialettismi voluta dallo stesso commediografo, nonché una pulizia interpretativa ben evidenziata dal ruolo di Mincuccio (Luca Lubrano). Uno spettacolo poetico e realistico insieme, che ha imposto dignità alla miseria di eventi ancora attuali.

fonte Cinquew News