Quest’oggi incontriamo Mattia Bianchini, dell’ azienda “Grillo Iole” a Prepotto in via Albana 60.
E’ un ragazzo allegro e gioviale, ci dà l’impressione di essere benvoluti e di saper entrare subito in confidenza con chiunque.
La cantina è annessa al bed and breakfast, un borgo rustico di poche case, ma ben tenuto, immerso nel verde e nelle colline circostanti.
Se dovessi paragonarlo ad un vino, lo paragonerei al suo Merlot riserva: robusto e schietto, ma fresco e giovane, con grandissime potenzialità di affinamento.
Qual è la storia della cantina?
La cantina è nata nel ‘73 dalla passione che aveva mio nonno per l’agricoltura e la viticultura, intitolò l’azienda a sua moglie, mia nonna. Nato contadino a Tarcento, poi si è trasferì a Latina e studiò a Roma per diventare dentista. Una volta finiti gli studi tornò in Friuli, a Cividale, dove iniziò a piantare qualche vigna dietro la propria abitazione, dato la forte passione, poi nel’83 si spostò a Prepotto dove si trova attualmente l’azienda. Fino al ‘99 non ci fu nessuna svolta dal punto di vista qualitativo, dato che si produceva più che altro per amici, parenti ed era quasi esclusivamente vino sfuso. Dal ‘99 in poi mia madre è tornata in azienda, dopo i suoi studi in Biologia a Ferrara, ha sentito la mancanza delle sue montagne e da novizia, ha deciso di cambiare l’impostazione su come veniva prodotto il vino, cioè passare dalla quantità alla qualità.
E’ stata la sua crescita personale che ha portato a valorizzare la nostra ditta, che è avvenuta con vari step. Il primo è stato di cercare di valorizzare l’enoturismo, dato che siamo una piccola realtà e non abbiamo mai dovuto confrontarci con realtà molto più grandi, che hanno altri obiettivi e standard..
Abbiamo creato da subito uno dei primi bed and breakfast nel 2003, poi nel 2007 c’è stata l’ultima acquisizione di terreno, portando il complesso a circa 9 ettari, con una produzione approssimativa di 40.000 bottiglie, tutte da uve nostre. Nel 2017 poco prima del Vinitaly sono subentrato io e a breve si unirà anche mia sorella. Pure io non ho un percorso di studi inerente alla viticultura, dato che sono stato un giocatore di pallacanestro e a 16 anni sono stato acquistato Dal Ferrara, mi sono dovuto trasferire, scegliendo poi come percorsi di studio ingegneria meccanica. Nel 2017 mia madre mi chiede di accompagnarla al Vinitaly, dato che gli serviva una mano. Sono andato solo e da lì non sono più tornato indietro. Sono tornato in azienda per mia pura volontà, iniziando dai lavori più umili, ho provato anche a fare la facoltà di Enologia, ma non sono riuscito a concludere, causa anche i tanti impegni che porta questo mestiere. Io credo molto nella cooperazione tra aziende e quando possiamo cerchiamo di collaborare, anche perché se tutta Prepotto fosse una cantina unica, sarebbe a livello di quantitativi una cantina di produzione media della Puglia.
Da cosa nasce la tua passione per il vino?
La mia passione è nata direttamente al Vinitaly, perché quando avevo 16 anni e sono andato a Ferrara, avevo la convinzione che il vino non fosse mai più buono della birra. Dopo quell’esperienza mi sono fatto catturare da tutto il mondo del lavoro che c’è dietro, dall’ambiente che si può andare a incontrare e le cose che si possono fare. E’ stato un insieme di fattori, di considerazioni che ho fatto e che mi hanno portato ad innamorarmi completamente del vino e del mondo che ci sta dietro. Mi ricordo ancora il primo Vinitaly, a quell’epoca ero una persona che sapeva solo del vino “o blanc, o neri” e qualche volta bollicina. Dovevo parlare con delle persone verso ora di pranzo, a un certo punto mi siedo e mi rendo conto che forse ero un po’ troppo allegro, per via della quantità del vino bevuto fino a quel momento. Quando si va a manifestazioni del genere è come tornare bambini ed entrare in un negozio di caramelle, un posto pieno di tentazioni. Con l’esperienza poi capisci che devi assaggiare e sputare perché sennò si rischia di non essere più consci del gusto. Il mio approccio nel mondo del vino è di un continuo innamoramento, perché matura e migliora come un buon rosso di struttura col tempo.
Qual è la filosofia della cantina?
Noi siamo una piccola realtà a conduzione familiare, quindi c’è un enorme attenzione al vigneto, ai processi di lavorazione in cantina, perché secondo me se vuoi fare vino di qualità, devi trattare bene la campagna, da lì non si scappa.
Abbiamo un enologo e un agronomo che ci seguono in ogni passaggio, perché sicuramente delle persone più esperte e qualificate ci aiutano a fare le cose al meglio. Cerchiamo di fare vini eleganti e di rispettare il varietale che noi scriviamo in etichetta, non siamo amanti dell’estremismo dei prodotti e dal dirottamento delle sue qualità, un Sauvignon deve essere tale, come lo Schioppettino di Prepotto e cosi anche il resto dei vini che produciamo.
Ci piace fare il vino che a noi piace, difatti nella nostra cantina non siamo amanti delle bollicine e quindi abbiamo deciso di non produrle.
Non siamo né biologici, né biodinamici, perché riteniamo in alcuni casi, come quello dello Schioppettino, possa portare ha dei sentori devianti e invece per altri varietali riteniamo di non avere le condizioni adatte per proporre questa filosofia.
Quando andiamo a fare il residuale dei nostri vini, siamo comunque linea con le caratteristiche dei prodotti biologici, inoltre dal 2020 siamo certificati s.q.n.p. Per quello che riguarda la sostenibilità, anche se rispecchia il lavoro che facciamo da sempre e abbiamo approfittato del lockdown Per fare ciò. Noi abbiamo il concetto di fare dei prodotti sani e di rispettare l’ambiente.
Qual è il prodotto di punta della cantina?
Il prodotto in cui noi chiediamo di più è ovviamente lo Schioppettino di Prepotto.
Crediamo molto nell’associazione dei produttori dello Schioppettino di Prepotto, che nel 2008 è riuscito ad arrivare alla sottozona per proteggere e valorizzare quest’uva.
Dato che la qualità media del vino è sempre in aumento, bisogna fare vino che non sia solo vino.
Per noi questo significa avere una fortissima correlazione col territorio e fra vino e identità, perché lo Schioppettino all’infuori di Prepotto non ha queste caratteristiche e questa particolarità che si trovano solo in questo luogo.
Molti esperti abbinano come potenzialità, lo Schioppettino di Prepotto a un Pinot nero della Borgogna, che uno dei migliori vini prodotti al mondo e noi abbiamo la fortuna di avere delle similarità con questo. Dobbiamo riuscire a copiare ed adattare quel grande vino al nostro prodotto.
A giugno di quest’anno, usciremo con la prima nostra riserva di Schioppettino del 2017, cercando di proporre un prodotto ancora più elegante rispetto al nostro classico Schioppettino, Oltretutto saranno commercializzati solo 5 ettolitri di questa riserva.
Come vedi il mondo del vino e che posto Ha il vino friulano al suo interno?
Questo è un mondo in cui la qualità media è in aumento costante. Arrivano sempre più spesso persone che decidono di investire grandi capitali in questo universo. Basta vedere vicino a noi il calciatore Sanchez, che appena preso svariati ettari di vigna e una cantina, per produrre vino. Ovviamente con l’enologo giusto può sicuramente produrre dei vini interessanti.
Certamente il suo prodotto non avrà le stesse peculiarità di chi questo mestiere lo fa da generazioni, vivendo e lavorando questa terra.
C’è un problema di fondo però, che il Friuli manca di un’identità generale e mi avviso lo Schioppettino di Prepotto dovrebbe essere il vino rosso con cui il Friuli vuole identificarsi nel mondo.
La nostra è una zona di cantine piccole e dovrebbe fare di questo la sua forza. Abbiamo avuto la fortuna che dopo il lock down, il Friuli è stato in parte riscoperto da chi gli è vicino. Perché è un posto con grandi spazi, non molto popolato e sempre più italiani si sono interessati alle nostre zone. Dopo questo periodo di chiusure generali, il Friuli Venezia Giulia è stato valorizzato, ma manca purtroppo una coesione generale che potrebbe valorizzarci ancora di più, anche se siamo sulla buona strada.
Come vedi tu e la tua cantina fra 10 anni?
Da qui a 10 anni, il mio sogno è che la metà della mia produzione sia solo di Schioppettino e forse ci vorrà ancora tempo in più per arrivare all’obiettivo.
Un’altra cosa che desidero è diventare la culla dell’enoturismo, cercando di produrre sempre vini migliori e cercare di valorizzare sempre di più lo Schioppettino. Vorrei trasmettere la cultura di mio nonno, ma differenziandomi cercando di avere meno varietà, ma più qualità.
Fra 10 anni spero di essere riuscito a migliorare la cooperazione tra cantine in questo comune e che negli anni questo luogo, riesca ad avere un blasone tale che sia almeno simile a quello di una Montalcino.
Cosa ne pensi dell’enoturismo?
Io ci credo molto ed è sicuramente il futuro delle aziende medio-piccole come la mia.
Cercheremo di aumentare il lavoro con i privati di oltre confine, di affinare il nostro lavoro a livello di comunicazione. Non crediamo molto negli influencer del vino, perché molte volte non rispecchiano la nostra filosofia, dato che è un mondo molto particolare in cui manca una direzione.
Non crediamo nel dare indicazioni su vini buoni o cattivi, ma semplicemente di indirizzare le persone a bere ciò che gli piace.
Dal punto di vista automobilistico ritengo che siamo ben collegati, speriamo che finiscano a breve anche la terza corsia dell’autostrada.
Abbiamo anche molti sentieri e siamo fortunati in questo, ma è molto complicato mantenerli puliti ed ordinati e ce ne rendiamo conto, dato che abbiamo visto l’aumento del trend del turismo a piedi. Siamo fortunati ad avere il percorso della Alpe-Adria-trail, che ci passa di fronte, che porta anche tanti ciclisti, però sicuramente va mantenuta e implementata la capacità delle ciclabili.
Filippo Frongillo
©Riproduzione riservata