Se è vero che la magia di Venezia risiede nella città stessa, è vero anche che sono le sue stesse origini ad averla resa tale per noi, oggi. È ciò che vuole dimostrarci Davide Battistin con una nuova serie di opere ospitate nella mostra temporanea a Palazzo Loredan-Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti con l’organizzazione di Lineadacqua. Venezia, vuole dirci Battistin, è una città nata da persone visionarie, che hanno saputo creare l’impensabile partendo dall’acqua e dagli isolotti paludosi che essa offriva. Nelle sale viene infatti esaltata una città in piena comunione con gli elementi naturali da cui deriva: il cielo e l’acqua sembrano fondersi assieme nell’opera che da il nome alla mostra, “Genesis”, e l’acqua stessa, la laguna (che costituisce il fondamento di Venezia), è esaltata, venendo ritratta attentamente, più volte, anche in maniera isolata (commuove, infatti, l’attenzione posta nello studio dei colori che si infrangono nell’acqua nell’opera Sailing #2).
Ci viene posta davanti, dunque, una Venezia fatta da persone, ma senza persone. La città che l’uomo ha creato con impegno e fatica non ha più bisogno dell’essere umano per esprimersi: vediamo piazze vuote, canali senza barche, vediamo luoghi che si sanno esprimere benissimo anche senza la nostra presenza. Luoghi sempre avvolti dalla nebbia. La nebbia di fatto è l’elemento fondante del messaggio di Battistin, elemento che avvolge ogni rappresentazione dell’artista, tanto che in molti casi di Venezia riusciamo solo a scorgere un pallido contorno. È chiaro, sembra dirci Battistin, che nella ricerca delle origini della città si giunga inevitabilmente a una riflessione sulla fragilità di Venezia. La nebbia ci lascia intravedere solo il contorno di qualche cupola nell’opera “A dream of Venice”, avvolgendo tutto quasi per nasconderci appositamente qualcosa.
Se dunque l’assenza di persone da un lato indica fieramente l’autonomia della città dall’uomo che la ha creata, dall’altro suggerisce un sentimento di abbandono, di un tempo che scorre inesorabilmente e una implicita richiesta di aiuto. “Guarda”, mi dice una signora veneziana con gli occhi lucidi davanti al dipinto che raffigura Piazza San Marco con l’acqua alta, “sembra che l’acqua stia entrando nella sala”. Se nell’opera di Battistin la nebbia nasconde, al tempo stesso mostra con consapevolezza la precarietà della Venezia di oggi, sempre più in pericolo. La nebbia è la nebbia reale e materiale che spesso troviamo, ma è soprattutto una nebbia metaforica che ci induce a riflettere, “è la nebbia culturale che sta prendendo Venezia”, mi dice la signora, “creata da una società che la sta abbandonando senza neanche volerla conoscere”.
Potremmo dire che i dipinti di Battistin esprimono molte cose (Venezia è più cose), ma contengono una sospensione e una tristezza tali da farci soffermare su cosa potrà succedere poi, una volta usciti da quella mostra, senza darci una risposta finale, ma lasciando un finale aperto, nella speranza che siamo noi a trovarne uno, una volta appreso a pieno ciò che il pittore ci ha mostrato. “Una Genesi” commenta scetticamente la signora prima di andarsene, “magari ce ne fosse una nuova”.