Roma, 1953. Mimosa (Rebecca Antonaci) si trova a fare la comparsa a Cinecittà per un giorno, per un gioco del caso. Viene presa sotto l’ala protettiva della star hollywoodiana protagonista del film in cui recita, Josephine Esperanto (Lily James), che la porta in giro per Roma per tutta la nottata, assieme all’attore Sean Lockwood (Joe Keery), per il quale Mimosa ha preso una cotta guardando le sue pellicole.
Il trio è scarrozzato nei locali notturni dall’antiquario Rufo Priori (Willem Dafoe), e Josephine dice a tutti che la ragazza romana è una poetessa svedese, mettendo ben presto la sua giovane protetta in situazioni imbarazzanti.
Il mondo dorato che circonda le star americane si dimostra essere ben presto una vera fogna, in cui l’ego smisurato delle stelle statunitensi spadroneggia, circondato da una miserabile corte di opportunisti, leccapiedi e depravati di varia estrazione.
Mimosa è al tempo stesso attratta e terrorizzata dall’esperienza che, suo malgrado, si trova a vivere, ma affronta la situazione con coraggio, uscendone completamente trasformata.
Finalmente l’Alba: una bella pellicola splendidamente metacinematografica
Il racconto narrato può essere visto come il viaggio iniziatico di una giovane donna, già destinata dai suoi familiari a sposare uno sconosciuto impiegato statale, considerato un buon partito per gli standard del tempo.
Ma Mimosa sogna altro, grazie anche ai film che vede assieme alla madre e alla sorella. Quando un gioco del destino le fa conoscere di persona le star tanto ammirate sul grande schermo, scopre ben presto che il mondo del cinema ha un suo lato scuro, che la sfiora ma dal quale riesce a non farsi travolgere, pur vivendo esperienze drammatiche che mai avrebbe potuto neanche sognare nella vita (molto) piccolo borghese alla quale era destinata.
Non per niente l’azione è ambientata subito dopo il mai risolto omicidio di Wilma Montesi, una aspirante attrice trovata morta su una spiaggia vicino Roma.
Un tragico avvenimento che ci viene spiegato tramite un cinegiornale, tanto che per buona parte del film lo spettatore può pensare che la giovane protagonista farà una fine analoga.
Finalmente l’Alba dipinge un ritratto molto realistico e coinvolgente della Cinecittà del secondo dopoguerra, tratteggiando sfarzi e depravazioni di uno star system, peraltro già in crisi, che rischia di travolgere Mimosa.
Ma la giovane donna, ingenua, pudica e sognatrice, possiede a suo modo una forza interiore incredibile, e riesce non solo a non scappare davanti all’incredibile opportunità che la vita le regala, ma anche a non farsi spazzare via dagli eventi.
Un equilibrio precario tra la consapevolezza di appartenere a una realtà molto distante da quella nella quale si trova coinvolta, e la volontà di vivere fino in fondo le esperienze che le si presentano, senza però superare certi limiti, che comunque non sono sicuramente quelli imposti dalla sua famiglia.
Il film è meravigliosamente metacinematografico, un vero atto d’amore per la settima arte, e da questo punto di vista può essere visto come una sorta di versione italiana di Babylon, molto meno iperrealista e molto più concentrata sulla dimensione umana e personale della protagonista.
Finalmente l’Alba deve molto alla riuscitissima interpretazione di Rebecca Antonaci, che riesce a dare al personaggio di Mimosa e ai suoi drammi interiori una verosimiglianza e una profondità incredibili.
Certo, ci sono alcune smagliature nella storia e molti personaggi secondari sono tratteggiati forse troppo superficialmente (in particolare William Dafoe sembra veramente sprecato nei panni dell’imbalsamato e monodimensionale Rufo Priori), ma nel complesso il film è veramente ben riuscito, ed è (anche) una chicca per cinefili.
Da vedere. Al cinema.