Fabrice Hyber, "La Foresta Invisibile"

3 min read
Fabrice Hyber, "La Foresta Invisibile"

“La Foresta invisibile” contiene già nel nome un controsenso. Una foresta nell’immaginario collettivo è infatti visibile e riconoscibile per chi si trovi davanti ad essa. Ma la foresta a cui si riferisce Fabrice Hyber con la sua opera in situ alla Fondazione Louis Vuitton (in concomitanza con la Biennale di architettura 2023) è quella che da secoli sorregge Venezia, e a cui Venezia stessa deve essere riconoscente. L’artista porta a galla (in questo caso del tutto in superficie) i tronchi, (che fino ad ora erano quasi stati dimenticati), che hanno funto da base per la costruzione della città. Sommersi da tempo sotto le acque della laguna, ogni tanto danno debolmente prova della loro esistenza, emergendo parzialmente o apparendoci sul fondale, distanziandosi da noi attraverso quello strato di acqua che li rende quasi delle ombre ai nostri occhi. Questa sensazione di magia viene espressa Fabrice Hyber attraverso il vetro (con l’aiuto di un maestro vetraio svizzero): lo spettatore viene posto a dialogare con questa immensa vetrata fatta di alberi colorati che nascondono e al tempo stesso rivelano in maniera nuova luci e ombre. Ed ecco che una tradizione veneziana ormai radicata (quella della lavorazione del vetro), viene posta in relazione con coloro che hanno permesso a questa tradizione di svilupparsi in quel luogo, e che continuano a sostenerla. Ma c’è di più. Hyber, interessato agli alberi e alla loro crescita (lui stesso ha affermato di curarne molti personalmente), ha portato alla luce un altro tema: la forma. Secondo Hyber infatti i cerchi che vediamo all’interno dei tronchi richiamano (non casualmente) quelli che fa la superficie dell’acqua quando si increspa, così come quando l’acqua si ritira lascia piccole arborescenze sulla sabbia; d’altra parte, ampliando il discorso, le venature dei fiumi ricordano quelle del cervello, e così via. “Forse c’è un nesso che è molto più forte di quanto pensiamo” dice Hyber, “e mi dico che forse il mondo è da ripensare in base alle forme e non a seconda dei luoghi”. Ma cercando di pensare il mondo in questo modo l’attenzione ai particolari è cruciale. Così non può funzionare un’arte “chiusa”, ma una “aperta”, infinita, che man mano si amplia inglobando sempre nuovi elementi. È effettivamente la filosofia alla base dei quadri esposti accanto all’installazione, rappresentanti sempre il rapporto tra Venezia e il legno. Sono quadri che non terminano con il loro supporto originario, ma che si sviluppano oltre, sul muro delle stanze. Il legno su cui si poggia Venezia è un legno putrefatto e vissuto, che porta con sé altra vita infinita che si rigenera continuamente, sotto e sopra l’acqua. “Potrei continuare all’infinito”, sostiene Hyber, “quando qualcuno osserva un dipinto sta imparando qualcosa, e poi ci sono tante altre cose da imparare”. Da qui anche l’insistenza dei disegni sul “marciume” e sui rifiuti da trasformare in ricchezza. La trasformazione è necessaria alla nuova vita. Ma prendere consapevolezza su tutto questo equivale non ad innalzarsi in maniera astratta verso qualcosa di teorico, ma a guardare in basso, verso la vita che ci aiuta a vivere. È quello che ci suggerisce lo “Specchio della strega”: questo specchio sferico, posto al centro di un muro, che ribalta il nostro punto di vista, invitandoci a fare altrettanto.

Fabrice Hyber, "L'invenzione dell'angelo"
Fabrice Hyber, "La Foresta Invisibile", particolare