Frida (Naomi Ackie) è una giovane cameriera che viene fortunosamente invitata a una festa per la raccolta di fondi di beneficenza organizzata da Slater King (Channing Tatum), un magnate del fatato mondo dell’alta tecnologia, che le propone un dorato ritiro con dei suoi amici in un posto da sogno.
Lei, che è una sua ammiratrice, tocca il cielo con un dito quando accetta l’invito. All’inizio tutto fila liscio, le giornate scorrono piacevoli tra festini in riva alla piscina di una villona mirabolante e libagioni luculliane con pietanze ricercate e vini costosissimi, mentre tra i due sembra lentamente nascere qualcosa di tenero.
Ben presto però Frida si rende conto che c’è qualcosa che non funziona, sotto l’apparenza dorata della vacanza da sogno. Alcuni invitati cominciano ad avere strani ematomi, di cui non ricordano l’origine, e più in generale tutti sembrano avere problemi con la memoria, lei inclusa.
Gradualmente ma inesorabilmente una terribile realtà comincia ad emergere, e la vacanza da favola si trasforma in un incubo agghiacciante…
Blink Twice: un promettente esordio alla regia con qualche smagliatura
Il film ruota intorno ai drammatici temi del movimento #MeToo, ed è costruito con mestiere attorno a un pugno di personaggi disegnati molto bene. La storia si sviluppa all’inizio in maniera intrigante, con lentezza, usando meccanismi che fanno venire in mente le pellicole di Jordan Peele.
La compagnia di persone attirata in un luogo isolato per compiere gesti efferati non è certo una trovata originale, basti pensare a The Menu, anche se in Blink Twice manca la dimensione grottesca invece presente nella pellicola di Mark Mylod.
Rimane la feroce critica sociale, mirata a evidenziare la distanza siderale tra l’apparenza dorata del mondo della finanza - e delle connesse aziende legate a tecnologia e informazione – e l’anima degenerata degli spietati e perversi capitani d’impresa.
Un dualismo che corre il rischio di cadere nello stereotipo dell’opposizione tra un ricco uomo bianco (con gli occhi azzurri) e una povera donna di colore, donna che però alla fine, più che ottenere vera giustizia, vuole ribaltare i termini dello sfruttamento, semplicemente invertendo il rapporto di bieco dominio, a proprio vantaggio.
Stereotipo bene rappresentato dalla coppia Slater-Frida, comunque sorretta da un livello di recitazione veramente molto apprezzabile degli attori protagonisti.
Al netto di qualche piccola ingenuità nella storia, su cui si può soprassedere, il racconto funziona abbastanza bene per buona parte del film, regalando interessanti soluzioni visive e sonore, con una efficace e graduale crescita della tensione, anche se sembra che a monte ci sia la scelta di privilegiare la dimensione di critica sociale a scapito di quella del mistero che aleggia attorno al luogo da sogno dove si è ritirato il gruppo di persone raccolto attorno a Slater King.
Una dimensione inquietante che sembra accarezzare l’horror, a metà del film, per poi però virare abbastanza violentemente, e in modo telefonato, nella pura dimensione #MeToo. Probabilmente un peccato.
Insomma a mio avviso Zoe Kravitz ha dimostrato di sapere il fatto suo come regista, anche se la sceneggiatura (da lei realizzata assieme a E.T. Feigenbaum) ha dei punti deboli e la storia nel suo complesso rischia di cadere in stereotipi che possono fare sorridere, più che scandalizzare.
Aspettando le prossime regie...