Questa settimana vi portiamo nella Tasting Academy (potete cliccare il link per prenotare) del Consorzio tutela vini “Friuli Colli Orientali e Ramandolo” a Corno di Rosazzo in Piazza 27 Maggio n.11.
Ci accoglie Matteo Bellotto il direttore del progetto, una persona cordiale e risoluta, competente e grande conoscitore delle diverse anime che popolano il Friuli, nonché autore del bel libro “Storie di vino e di Friuli Venezia Giulia” edito da EBI.
Ci racconti un po’ di te?
Vengo da una famiglia contadina e da piccolo odiavo dare una mano a mio nonno quando si dovevano fare i lavori nell’orto e nel cortile, ero uno di quei ragazzi che avrebbe dato qualsiasi cosa per andarsene dal Friuli.
Quando mancò mio nonno, mi resi conto che non avevo mai imparato da lui a metter mano alla terra, soprattutto nella vigna che aveva dietro casa, che poi fu spiantata quando è morto.
Allora decisi che avrei preso tutte quelle esperienze che avevo fatto nella mia vita, per restituirle alla mia terra. Ho avuto una piccola esperienza nel Consorzio del Collio, dopo alcuni anni mi sono messo in proprio e adesso seguo diversi progetti, un po’ per tutti i consorzi e per alcune aziende, ho scritto un libro, ho creato la Tasting Academy e curo essenzialmente il racconto del vino in Italia e all’estero per alcuni consorzi, cercando di trovare delle strategie per far conoscere al meglio le nostre zone.
Abbiamo vini nelle nostre zone che sono delle eccellenze incredibili, ma siccome tendiamo a essere esterofili, non siamo convinti della qualità dei nostri prodotti.
Molte volte la differenza la fa anche il tipo di approccio che ha un produttore nei confronti del proprio prodotto, purtroppo tendiamo qui in Friuli a sminuirci e questo sicuramente non va a nostro vantaggio.
Qual è la storia del tuo progetto?
Il progetto della Tasting Academy è nato per la necessità contingente della crisi pandemica mondiale che stiamo vivendo.
Prima che ciò scoppiasse, avevamo nel piano sottostante una stanza speculare a questa, una sala degustazione canonica e avevamo iniziato a fare delle degustazioni coinvolgendo alcuni ristoratori e dei produttori con 10-15 vini in degustazione, introducendo in maniera generale quelle che erano le microzone, con l’obiettivo di andare due volte al mese ad approfondire i diversi territori regionali. Tutto ciò era voluto per mettere in contatto chi produce con chi vende e propone al consumatore finale, stava andando a gonfie vele, poi purtroppo è arrivato il lockdown.
Avevo visto delle macchine alla “Milano Wine Week”, che dispensavano il vino dalla bottiglia mantenendone intatte le proprietà, come appena aperte e mi aveva colpito il fatto sì di poter degustare da queste, però avere tutta questa scelta, senza che nessuno mi aiutasse la trovavo un po’ sterile come cosa.
Allora abbiamo cercato di prendere tutti i dati oggettivi dei 32 vini, che avvicendiamo regolarmente tra quelli delle zone limitrofe, per poi riportarli assieme alla degustazione e metterli a disposizione di chiunque, sia ai produttori che vogliono saperne di più dei vini dei colleghi, sia ai ristoratori o a chiunque voglia. Abbiamo fatto una mappatura di tutti i terreni e i vigneti dei Colli Orientali, così da poter far vedere dov’è prodotto e come viene prodotto a chiunque quel dato tipo di vino.
Il mio obiettivo poi e di portare a 100 vini diversi di tutto il Friuli, con una mappatura dei terreni e una descrizione completa sul vino che proponiamo in degustazione, con annesso un codice QR che rimanda direttamente al sito del produttore del vino che tu assaggi, con la possibilità poi di poterlo acquistare.
Il mio obiettivo è di lasciare libero apprezzamento all’assaggio del vino e dare più informazioni oggettive e competenti possibili, unendo ovviamente anche il lato umano alla base della convivialità.
All’interno della nostra sala abbiamo uno schermo, che permette non solo la visione immediata dei terreni, ma mi dà la possibilità di collegarmi in maniera istantanea e diretta con i miei collaboratori, che stanno rilevando i dati in quel preciso momento.
Noi volendo possiamo collegarci istantaneamente con un produttore mentre è in cantina o sta lavorando, chiedendogli tramite lo schermo e le nostre applicazioni, informazioni istantanee e approfondimenti sul vino che stiamo degustando in quel momento.
Da cosa nasce la tua passione per il mondo del vino?
Mi sono accorto di una cosa in particolare, soprattutto nel mondo del vino friulano: quando devi dare un appuntamento ad un friulano, lo dai al bar e per prima cosa si chiede: “cosa beviamo?”, da lì poi inizia la conversazione. Leggendo i classici, come l’Iliade, prima di iniziare a parlare, Ulisse offre molto cibo e vino ad Achille per cercare di tranquillizzarlo dalla sua ira funesta. Quello che più mi piace del vino quindi, è che riesce a dire più cose di quante ne riescono a dire le persone, perché secondo me siamo più figli della terra che dei nostri genitori.
In Friuli questo prodotto, riesce a raccontare più di quanto gli stessi friulani sappiano raccontare della loro terra. Questa zona è sempre stata considerata come un mosaico di vari tasselli differenti e per tenerli insieme c’è bisogno di un collante che secondo me è il vino. Talmente capace di trasmettere emozioni che ne provo un’immensa reverenza. Ancora più importante del vino, secondo me, è la vigna perché le piante non hanno idea che diventeranno vino, però collaborano assieme per far sì che ci venga dato questo bellissimo prodotto e mi emoziona pensare al fatto che il momento della vendemmia è il momento massimo di amore che la vigna ha per la terra. L’obiettivo della vigna è riprodursi, come ogni pianta, e noi andiamo a interrompere quel momento che sta per arrivare della riproduzione, per catturare il climax dell’amore che la pianta sta per avere con la terra per poi trasformarlo in vino.
Avere la consapevolezza di questa enorme complessità mi insegna a guardare le persone diversamente, perché il vino non lo puoi calcolare dal punto di vista del grado alcolico, della varietà, eccetera, ma è un insieme di complessità. Come noi non vogliamo essere giudicati dai lacci delle scarpe o dai vestiti che portiamo, anche il vino non vuole essere giudicato da una o alcune caratteristiche ma da un insieme di armonie di cui lui stesso si fa portatore.
Tutto questo mi fa sentire piccolo e umile. Il grande potere del vino per me è questo, che ti mette sempre a sedere, che ti zittisce sempre.
Come vedi il mondo del vino e che posto ha il Friuli al suo interno?
Prima di tutto, il Friuli attualmente è in una posizione di svantaggio da un lato e di vantaggio dall’altro. Sostanzialmente è sconosciuto al di fuori di queste zone, ha perso molte posizioni in più ambiti sia in Italia, ma soprattutto all’estero.
In Italia si discute sempre di territorio e della sua valorizzazione, poi quando si va al di fuori e si parla di Made in Italy, in realtà ci si riferisce sempre ai marchi e anche il Friuli un po’ ha peccato in questo. E’ vero che ci sono delle grandissime aziende che hanno portato il nome del Friuli nel mondo, le conosciamo e a queste va dato merito incredibile, ma hanno portato il loro marchio. Discorso a parte per il marchio del Collio, tanto è vero che negli anni ‘90 si è fatto sentire grazie ad alcune aziende ma anche grazie al brand che ha portato in giro per il mondo.
Il Friuli ha perso tante posizioni perché ha creduto poco in sé stesso e si è fatto trascinare da alcune mode, più legate ai vitigni che al territorio, vedi il fatto che adesso su 28000 ettari di vigneto 8300 sono di Pinot Grigio che in Friuli non si beve molto e 7615 sono di Glera. Il 52% del nostro vigneto sono questi due vini ed è un dato inequivocabile. Adesso il mondo sta cambiando molto velocemente perché l’attenzione verso vini autoctoni sta esplodendo sempre di più, anche in luoghi dove prima non si riusciva ad entrare. All’estero per esempio negli Stati Uniti, stanno iniziando a bere friulano e ad apprezzare lo Schioppettino, il Refosco grazie anche ai cambiamenti climatici e la bravura di alcuni produttori. Stanno attirando interesse rispetto ad altri grandi vini, come il Merlot che qui hanno spazio e sembrano quasi autoctoni, ma non lo sono.
Il Friuli potrà fare un balzo in avanti in Italia e all’estero, se scoprirà la sua vera anima: stiamo parlando della regione in Italia dove l’ 85% di vini prodotti sono vini bianchi. Cosa ha fatto il prosecco? Ha trasformato questo vino in un antonomasia, ora il consumatore medio che vede un bicchiere con delle bollicine, pensa subito questo è Prosecco, prima ancora dello Champagne. Se noi riuscissimo a trasformare quell’antonomasia in: “quando vediamo un bicchiere di vino bianco ci viene in mente Friuli” allora vinciamo. Andremo a vedere successivamente se sarà dei Colli Orientali, della grave, Collio, Carso, Isonzo, eccetera e tutte le altre straordinarie peculiarità, ma quando riusciremo ad avere quella antonomasia, allora lì ci sarà il salto.
Siamo ancora molto legati al vitigno per ragioni storiche, perché è chiaro che siamo due generazioni e mezza indietro rispetto al Piemonte, perché qua c’era il fronte della guerra e quindi abbiamo bisogno di più tempo per metterci al pari, è inequivocabile. Abbiamo una forte cultura contadina, che il Friuli ha sempre avuto ed è vero che sono pochi anni in cui il vino si è trasformato da sostanza di sostentamento, in sostanza edonistica. Una volta si beveva vino per non dover bere acqua, perché magari quell’acqua era contaminata. Ricordiamo che l’acquedotto del Friuli Centrale è del 1956, quindi praticamente costruito l’altro ieri. Grazie a questo il vino si è trasformato nel tempo. Lo stesso concetto di andare a bersi il taglio, sta sempre richiedendo più qualità nel calice, magari si va a bere meno ma meglio, si vuole spendere meglio i propri soldi, si vuole sapere cosa c’è nel bicchiere.
Come si trasmette la cultura del vino?
I corsi da sommelier di qualsiasi associazione siano, hanno un incremento d’iscritti costante anno per anno. Si sta anche abbassando l’età di chi si scrive, adesso la media è circa di 35 anni, fino a pochi anni fa era di 45 anni. Quindi le giovani generazioni sono molto più interessate al vitigno autoctono e alla particolarità, perché è anche più “instagrammabile” o meglio “fa figo” e questo gioca a nostro favore, per difendere quello che sono le nostre varietà autoctone.
Tutto questo sta cambiando e dovrà ancora cambiare, anche nel linguaggio che usa la somelierie, che non ha fatto altro che allontanare le persone invece di avvicinarle, per cui per me questo è un tema fondamentale, nel quale io credo. Quando noi mettiamo il vino nel bicchiere per la parte che riempie parla da solo. La parte che noi dobbiamo colmare è quello spazio vuoto all’interno del calice, che la parte più difficile e complicata da dover raccontare, perché è vuota, però è lì che sta il potenziale.
Come ti vedi tu tra 10 anni e come credi che si svilupperà questo progetto?
Tra 10 anni vorrei vedermi felice e vorrei fare tutti i giorni quello che sto facendo ora, con molte più persone in tutto il mondo. Mi piacerebbe che il progetto dell’Academy potesse avere più spot nel mondo, partendo incrementando a cento i vini in degustazione di tutte le doc del Friuli e che vengano raccontati sempre più oggettivamente, in maniera più particolareggiata e specifica. Vorrei portare i nostri prodotti ovunque ci sia la voglia di conoscere il nostro territorio, esportando il metodo che noi stiamo usando ora. Invece di fare investimenti, anche molto importanti, che però diventano spot inutili e che non portano a nulla dal punto di vista anche della misurabilità, il nostro progetto ha il vantaggio che è misurabile. Perché io vedo chi degusta, quanti anni ha, se è un uomo o una donna, il tipo di provenienza, quanto beve, che domande mi fa e posso dar conto ai produttori. Tra 10 anni, spero che questo progetto avvicini ancora di più i vignaioli al grande lavoro che viene fatto nei consorzi e spero che permetta ai produttori di essere ancora più gruppo, nella promozione dei vini nel mondo, perché questi progetti non possono stare in piedi da soli.
Cosa ne pensi dell’enoturismo?
In Italia e nel mondo abbiamo tanti esempi estremamente virtuosi, basta pensare a quello che viene fatto in Napa Valley, che è “un parco giochi” del vino. Parliamo di un luogo che vende l’ 80% di ciò che produce in casa, che è una cifra incredibile. Dovrebbe essere quello l’obiettivo, invece di dover girare con la valigetta il mondo, bisognerebbe far arrivare il mondo qui. Ci sono tanti esempi virtuosi in Italia come l’Alto Adige o la Toscana, il Friuli sta crescendo tanto. Venendo a scoprire che cosa? Un livello di autenticità lontano dal turismo di massa che si ritrova nel fatto di avere alcuni atteggiamenti un po’ scorbutici da alcune parti, in realtà diventa un po’ sinonimo di attrazione, ovviamente con dei limiti. In più bisogna dire questo, negli ultimi 10 anni le aziende vinicole stanno investendo e hanno investito tanto per quanto riguarda l’accoglienza, anche la più piccola azienda si è fatta le due tre camere ospiti, si sono comprate le bici elettriche e cercano di avere qualcosa da offrire. C’è il grande lavoro che Promoturismo FVG fa con la strada del vino e dei sapori. L’enoturismo in Friuli nel prossimo futuro, si troverà in una posizione di vantaggio, perché è riuscito negli anni ad investire ed è adesso pronto.
Da un punto di vista di infrastrutture, le ciclabili ci sono, ma dovranno essere completate presto nei tratti mancanti, non siamo prontissimi su alcuni tipi di collegamenti, perché per esempio venire qua in aereo è un incubo, in treno pure. Sostanzialmente bisogna sempre spostarsi in macchina all’interno della regione, perché altrimenti è difficoltoso prendere una corriera o un altro mezzo pubblico. Difatti manca un po’ il collegamento capillare sul nostro territorio, ci sono tante cose da mettere a posto, ma che fanno sì che da un certo punto di vista siamo ancora un po’ “wild” , selvaggi e va bene. Dall’altra parte se uno va in ferie in un luogo, alcuni servizi bisogna averli.
Filippo Frongillo
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