Dire la verità tutta la verità e nient'altro che la verità. Ma dire la verità è condizione per essere creduti?
Lo spettacolo Wonder Woman di Antonio Latella e Federico Bellini prende le mosse dalla vicenda accaduta ad Ancona nel 2015, quando una ragazza peruviana è vittima di stupro da parte di ragazzi che conosceva. Le giudici della Corte di Appello in un primo momento hanno assolto gli imputati, adducendo delle motivazioni che riguardavano l'aspetto fisico della ragazza, considerata troppo mascolina per essere attraente e quindi essere stata oggetto di violenza sessuale (la ragazza era stata memorizza nella rubrica degli aggressori come Vichingo). In seguito la Corte di Cassazione ha ribaltato il giudizio, condannando gli autori dello stupro.
Le attrici salgono sul palco praticamente vuoto, arrivando dal fondo della sala: sono quattro, Maria Chiara Arrighini, Giulia Di Renzi, Chiara Ferrara, Beatrice Verzotti. Indossano abiti neri e ai piedi delle scarpe rosse.
Le luci non solo illuminano il palco ma anche la platea. Il racconto inizia dalla fine, dalla sentenza delle giudici, per poi raccontare la violenza, l'interrogatorio alla stazione di polizia e la reazione della famiglia della ragazza.
In nessun ambito della società la ragazza si sente accolta. Viene messa in dubbio la sua credibilità attraverso domande ripetute in continuazione. Ma la ragazza, nonostante la violenza subita e la violenza delle domande a cui deve rispondere, rimane pura e incredula e non si capacita di non essere accolta come vittima. Chiede addirittura ai poliziotti di utilizzare la macchina della verità perché lei è appassionata di film gialli e polizieschi. Anche a casa però non va meglio. Ha disonorato la famiglia, lei che, essendo goffa, non sapeva neppure ballare come invece ci si aspetterebbe dai peruviani, dotati, secondo i più, di un intrinseco senso di musicalità.
Ma la protagonista resiste alle avversità e la sua vittoria è una vittoria per tutte le donne. Verso la fine le attrici si ornano di collare e di una specie di corazza, un carapace che le protegge e che permette loro di combattere. Diventano le eroine in un mondo che nonostante tutte le trasformazioni culturali ed economiche è ancora arretrato (se non a parole) nei confronti delle donne.
Questa è la verità che sembra emergere dallo spettacolo: alle richieste e alle battaglie combattute dalle donne non viene ancora attribuita l'importanza che spetterebbe loro. Siamo tutti chiamati in causa, uomini e donne, a cominciare dagli spettatori, che sono stati costretti durante tutto lo spettacolo a interrogarsi su quanto avveniva sulla scena. Prova ne sia l'illuminazione costante del teatro.
Visto al teatro Palamostre di Udine per la stagione di Teatro Contatto.