Wolf Man: recensione del film di Leigh Whannell

Un reboot che attualizza L'Uomo Lupo del 1941 della Universal facendolo rientrare nello stereotipo contemporaneo del patriarcato tossico.

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Wolf Man: recensione del film di Leigh Whannell

Blake (Zac Chandler) è un ragazzino che vive assieme a suo padre Grady (Sam Jaeger) in un'isolata fattoria, persa tra le montagne dell'Oregon. Durante un battuta di caccia nei boschi, i due incontrano una creatura molto ostile, vengono inseguiti fino in una cabina di caccia, ma riescono fortunosamente a salvare la pelle.

Con un'ellisse temporale di trent'anni, ritroviamo Blake (Christopher Abbott) ormai adulto, a San Francisco, assieme alla sua giovane figlia, Ginger (Matilda Firth), e sua moglie Charlotte (Julia Garner).

Lei è una giornalista in carriera, impegnatissima con il suo lavoro, lui è un aspirante scrittore, molto attaccato alla loro figlia. La coppia è in crisi, ma la presunta morte del padre di lui, dichiarata dalle autorità da distanza di anni dalla sua scomparsa, sembra essere l'occasione d'oro per prendersi una pausa e cercare di ricucire i rapporti.

I tre partono speranzosi verso quella si preannuncia essere una piacevole avventura, che ovviamente si trasformerà in un incubo raccapricciante...

Matilda Firth e Julia Garner in Wolf Man

Wolf Man: un reboot del film della Universal del 1941

Wolf Man è di fatto una riscrittura in chiave contemporanea dell'originale L'Uomo Lupo, di George Waggner, del 1941, un classico dell'orrore targato Universal. In questo reboot vengono introdotti elementi impensabili nella prima metà del secolo scorso: una critica del patriarcato, la crisi della famiglia tradizionale, una madre drogata dal lavoro.

In Wolf Man la licantropia viene svuotata di ogni contenuto esoterico, diventando una banale infezione che si può contrarre nelle foreste, addirittura ben conosciuta dai nativi nordamericani.

Se ne L'Uomo Lupo era il padre del licantropo a porre fine alla condizione in cui era precipitato il figlio, in questo reboot è comunque una donna a risolvere la situazione, alla fine. Il morbo viene tramandato dal padre al figlio, e di fatto può essere visto come una metafora della condizione paterna, intrinsecamente aggressiva e votata a una fine distruttiva, a prescindere dalla buona volontà del maschio, che in un modo o nell'altro finirà per fare del male alla sua famiglia.

Il padre di Black ha una personalità dispotica, la madre non viene mostrata e capiamo che lui ha abbandonato la casa natale nei monti per una profondità incompatibilità con il genitore.

Christopher Abbott in Wolf Man

Blake è invece un padre amorevole, tanto che Ginger è molto più attaccata a lui che alla madre, per esplicita ammissione di Charlotte. Ma quando la famiglia abbandona la città e ritorna nel mondo dove Blake è cresciuto, le cose inevitabilmente precipitano, e la licantropia – rigorosamente riservata al mondo maschile e tramandata dal padre al figlio – azzera la buona volontà e trasforma l'uomo in un mostro massacratore, nonostante i suoi tentativi di lottare contro il male.

Comunque il film funziona nel complesso abbastanza bene, se non si hanno troppe aspettative, considerando anche che si tratta di un prodotto a basso costo. La pellicola vede solo cinque personaggi in azione, che si muovono in ambiente molto confinato, lungo un percorso narrativo in fondo abbastanza prevedibile, che si sviluppa per buona parte nell'arco di una nottata.

Ed è questo il tempo che impiega Blake per trasformarsi in un licantropo, cambiamento che comporta il suo cambiamento di ruolo, da protettore della famiglia a sua nemesi. Trasformazione che avvicina questa pellicola al genere body horror.

Apprezzabile la regia, gli attori fanno il loro lavoro con mestiere, ma la mia impressione complessiva è che si sia scelta la strada più semplice per modernizzare il racconto, cadendo in quello che ormai è diventato uno stereotipo contemporaneo – quello del padre padrone - che in definitiva rende il racconto molto più prevedibile e sottrae tensione, tutto per inchinarsi al politically correct.

Peccato.