Pat Calhoun (Leonardo DiCaprio) e Perfidia (Teyana Taylor) sono due membri attivi del gruppo rivoluzionario French 75, un'organizzazione terroristica di estrema sinistra.
Durante un'azione contro un centro di detenzione di immigrati clandestini, lei si diverte a umiliare il comandante della struttura, il capitano Steven J. Lockjaw (Sean Penn).
Tra i due nasce un rapporto morboso, basato su una forte attrazione sessuale nonostante il profondo disprezzo l'uno per l'altro. Ben presto nasce un triangolo che vede Perfidia dividersi tra Pat e Steven.
Lei rimane incinta e nasce Charlene (Chase Infinity). Ma la maternità non cambia Perfidia, che continua a partecipare alle attività sovversive di French 75.
Ma l'organizzazione fa il passo più lungo della gamba, e lei finisce in gattabuia. Steven le propone di metterla sotto protezione a patto che lei tradisca i suoi compagni, mentre Pat si prende cura della piccola Charlene...

Una battaglia dopo l'altra: un piccolo capolavoro firmato Paul Thomas Anderson
Difficile categorizzare questa affascinante pellicola, che superficialmente è un dramma familiare, ma che al tempo stesso riflette anche sull'utopia delle rivoluzioni armate, sulla società statunitense contemporanea e sulle sue contraddizioni, e sull'ineluttabilità del passare del tempo, il tutto regalando una tonnellata di citazioni cinematografiche.
A cominciare dal personaggio di Pat, chiaramente ispirato all'iconico Drugo di Il Grande Lebowski, capolavoro imperdibile dei fratelli Coen, del 1998.
Anche se la figura più memorabile tra quelle che compaiono in questa superba pellicola è forse l'incredibile ufficiale statunitense Steven J. Lockjaw, interpretato da un Sean Penn in stato di grazia.
Una figura che racchiude in sé tutta l'idiozia e la cialtronaggine del militare efficiente nel suo sporco lavoro, ma razzista, malato di celodurismo, prono al potere, duro con i deboli, meschino in maniera caricaturale quando si tratta di nascondere i propri scheletri nell'armadio, incapace di riconoscere le proprie perversioni. Un servo del sistema, che il sistema usa senza pietà né riconoscenza.

Ma Paul Thomas Anderson non risparmia neanche i rivoluzionari, dipinti in definitiva come un insieme di persone serve di ideali inconcludenti, che alla fine sono più inclini a seguire i propri interessi – e la propria sopravvivenza – piuttosto che la causa per cui sembrerebbero pronti a immolarsi.
La pellicola strizza l'occhio ai migranti clandestini, per cui la satira che attraversa tutto il racconto è sbilanciata verso i bianchi suprematisti e le istituzioni pubbliche statunitensi, che ne escono piacevolmente massacrate.
Uno degli aspetti piacevoli di questa pellicola è che non fornisce chiari riferimenti temporali, per cui i temi trattati assumono una dimensione universale, collocati in una sorta di contemporaneità atemporale.
I personaggi di forte impatto non si contano, la recitazione degli interpreti è di altissimo livello, il ritmo è sempre sostenuto ma mai eccessivo, gli eventi non sono mai prevedibili, la regia è semplicemente magistrale, la fotografia stupenda.
Il film dura ben 162 minuti, che però letteralmente volano, e chi scrive è un sostenitore accanito della bontà della lunghezza canonica di un'ora e mezza.
Arrampicandomi sugli specchi, l'unico punto che mi ha lasciato perplesso è la sequenza finale, forse un poco didascalica e convenzionale, da questo punto di vista non coerente con il resto del racconto.
Una battaglia dopo l'altra: un film imperdibile.
Al cinema.
Una battaglia dopo l'altra - trailer ufficiale ITA