1956. Francia. Un prete nella sua chiesa viene arso vivo da una entità maligna, sotto gli occhi terrorizzati di un ragazzino.
Subito dopo ritroviamo suor Irene (Taissa Farmiga), sopravvissuta alla lotta contro il demone Valak nel film precedente (The Nun – La Vocazione del Male), che è tornata in convento ed è alle prese con le intemperanze di suor Debra (Storm Reid), consorella ribelle che ha preso i voti contro la sua volontà.
La nostra eroina viene convocata da un alto prelato, che la informa che la Chiesa teme che Valak sia tornato, perché è in corso una mattanza di religiosi, morti in circostanze misteriose e raccapriccianti.
Suor Irene viene incaricata di indagare sul perché il demone è ritornato. Parte subito per la pericolosa missione, seguita clandestinamente da suor Debra.
Nel frattempo ritroviamo anche Maurice (Jonas Bloquet), altro personaggio importante del precedente capitolo, che ha trovato impiego in un collegio femminile come tuttofare.
Il demone Valak ben presto entra in azione anche contro i nostri eroi, e ricomincia l’eterna battaglia tra le forze del bene e quelle del male…
The Nun 2: una banale sequela di luoghi comuni del genere horror
Già dalla prima scena, che vede un ragazzino andare a prendere il vino nella sagrestia su richiesta del prete, quando vediamo un pallone entrare e uscire da una zona d’ombra nasce il sospetto che il film non brillerà per le trovate innovative.
Un sospetto che diventa ben presto certezza granitica. La storia narrata inizialmente alterna le vicende delle due giovani suore e di Maurice, ma entrambe le narrazioni vengono portate avanti con il pilota automatico, senza nessun guizzo creativo. E quando convergeranno nel convitto femminile la situazione non migliora per niente, anzi tutto diventa sempre più prevedibile e scontato, fino al finale praticamente telefonato.
Per di più, questo secondo capitolo manca anche delle ambientazioni suggestive del primo, per cui il tutto si riduce a una sequenza di situazioni convenzionali, già viste mille volte in mille filmetti di questo genere.
L’unica nota positiva è la recitazione di Taissa Farmiga, che tuttavia da sola può fare fare molto poco per risollevare le sorti di una pellicola che fa acqua da tutte le parti.
Rimangono poi gli jumpscare, per quello che possono valere (onestamente, molto poco). Insomma si tratta di un film di bassa qualità messo insieme per sfruttare il franchise. Una mera operazione commerciale senza nessuna pretesa.
E il bello è che probabilmente funzionerà bene al botteghino.
Del resto c’è una fascia di pubblico che non si aspetta niente di più di questo: un filmetto horror prevedibile, magari da commentare in sala tra amici, mangiando popcorn e bevendo una bibita, tra una risata e l’altra, a sottolineare il fallimento della pellicola nel generare tensione e paura.
Non propriamente un atteggiamento da cinefilo, ma bisogna prendere atto della cosa.
Magie del cinema...