TEATRO alla DERIVA in scena “MONICA (odellalibertà)

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TEATRO alla DERIVA in scena “MONICA (odellalibertà)

“Far ridere è stata sempre la mia ambizione, veder ridere, poi, vedere la gente felice, mi fa stare meglio. Scoprire di far ridere è stato come scoprire di essere figlia del re” Monica Vitti.

Napoli - Domenica 7 luglio, ore 21:15, proprio dentro la piscina naturale delle acque termali dei Campi Flegrei, ovvero nelle Terme - Stufe di Nerone di Bacoli, Monica Vitti è stata omaggiata per la tredicesima edizione della rassegna TEATRO alla DERIVA (il teatro sulla zattera), ideata da Ernesto Colutta e Giovanni Meola. Sulla zattera-palcoscenico Artatamente Teatro ha presentato “MONICA (odellalibertà)”, scritto e diretto da Francesca Fedeli, che recita insieme a Martina Carpino. Per corporeità e cadenza, la Fedeli ha inizialmente strizzato l’occhio alla recitazione di Anna Marchesini, del resto di donne libere deve averne interiorizzate la sensibilità filosofica del duetto magnetico Fedeli-Carpino. Pian piano però, il fascino della Vitti, la sua verve, e ciò che ha rappresentato nel cinema, viene sviscerato a partire da una Monica umana, che si spiega maldestramente ai giornalisti mentre insegue pensieri e parole sfuggenti.Maria Luisa Ceciarelli, “settesottane”, diventa “Monica”, perché la nostra amata icona de “La ragazza con la pistola”, oltre a saper far ridere, cercava e ricercava, a partire da un nome con cui identificarsi “dovevo trovare qualcosa che ci si potesse ricordare di me – quella lì, sì! Una cosa facile”.

Attraverso dinamiche e citazioni ben comprensibili per tutti i tipi di platea, la kermesse rivela l’originalità e la profondità di una voce cavernosa che dimentica le battute del copione, ma mai l’anima. La Vitti viene, infatti, descritta non come una “prima donna”, ma come artista che si adatta ai cambiamenti sociali e al peso del suo personaggio, senza snaturarsi: “Come faccio a ridere con tutto quello che sta succedendo? Siamo circondati di macerie, macerie di parole che non vogliono dire più niente, cadono a pezzi, lasciando solo spazio alle domande che aumentano, si moltiplicano, senza curarsi delle risposte.

Quanto tempo ho passato a cercare una parola, che sia quella, e che non ne nasconda un’altra…”La messa in scena dipana il filo conduttore tra carriera e interiorità della sovrana indiscussa della commedia all’italiana spentasi due anni fa. Tanti gli applausi alle due interpreti così giovani eppure altrettanto preparate e capaci di dare un senso concreto alla massima per la quale “il ricordo è più lungo della vita”. Del resto il teatro è memoria in atto, passato che si attualizza nella concretezza dell’evento unico e mai uguale ad ogni replica. Lei, che poco tollerava di essere imprigionata in una “scaletta” rigida, che ha lavorato con grandi registi come Risi, Antonioni, Monicelli, Sordi, sorriderebbe fiera all’ironica

rappresentazione a cui abbiamo assistito? Probabilmente sì, perché l’eredità più preziosa è quella che riesce a consegnare la pienezza dei propri faticosi traguardi alle generazioni future. “Vorrei fare di ogni attore un pensatore e di ogni drammaturgo un combattente” Erwin Piscator.  

                                                                     corrispondente Anita Laudando

foto di Davide Russo