“Burja/Bora” è la quarta e ultima mostra del ciclo “Energie primigenie” e presenta dodici artisti del Friuli Venezia Giulia che, fra immagini ed evocazioni, ci portano alla scoperta del forte vento, vera e propria energia primitiva del territorio, che caratterizza la città di Trieste e i suoi abitanti e che travalica ogni confine. La collettiva propone opere di Gianpietro Carlesso, Cecilia Donaggio Luzzatto-Fegiz, Maurizio Frullani, Nika Furlani, Massimo Gardone, Maria Lupieri, Erik Mavrič, Davide Maria Palusa, Roberto Pastrovicchio, Mario Sillani Djerrahian, Alessandra Spigai e Typos.
La mostra, curata da Massimo Premuda, si inaugura giovedì 17 novembre, alle 18.00, nelle due torri settentrionali del Castello di Kromberk di Nova Gorica e si inserisce in proiezione di GO!25 nell’ambito dell’ottava edizione de L’Energia dei Luoghi / Festival del Vento e della Pietra, organizzato dall’associazione Casa CAVE di Visogliano/Vižovlje e sostenuto da Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Comune di Duino Aurisina, Fondazione Pietro Pittini e Fondazione Kathleen Foreman Casali. Accompagna l’evento inaugurale il video “Bora scura”, realizzato dal giornalista Simone Modugno che analizza, attraverso una serie di interviste, il particolare rapporto fra la bora e gli artisti in mostra.
La collettiva sarà aperta al pubblico fin o al 29 gennaio 2023, con orario martedì > venerdì 9 > 17 | domenica e festivi 10 > 18, nel Castello di Kromberk,il principale spazio espositivo del Goriški muzej, il Museo del Goriziano, circondato da uno splendido parco con annessi anfiteatro e lapidario all’aperto.
“Il progetto prende ispirazione” – spiega il curatore Massimo Premuda – “da questo brusco evento atmosferico portatore di tempesta, bora scura, o foriero di bel tempo, bora chiara, e intende esplorare la bora come specchio dell’animo contraddittorio e inquieto delle popolazioni della nostra area, ma anche mettere in relazione visiva le ricerche di artisti contemporanei con i pezzi della collezione d’arte del Museo della Bora di Trieste”.
Il percorso espositivo
Nella torre nord-ovest si parte con la Bora scura, e in particolare con la “Cavalcata delle Valchirie”, un lavoro storico del grande fotografo isontino Maurizio Frullani (Ronchi dei Legionari, 1942 - 2015) che rappresenta una rilettura visiva delle leggendarie creature sul campo di battaglia, che invece di essere a dorso di cavalli sono immaginate su delle bizzarre biciclette. La foto costruita in studio sembra investita da un vento intenso e trasmette una forte impressione di movimento e velocità. Si prosegue con le indagini fotografiche di Mario Sillani Djerrahian e la
sua ricerca sulla fine del paesaggio: una serie di enigmatici scatti che rappresentano metafisiche pietre del Carso triestino pronte a riorganizzarsi in diverse configurazioni fisiche e visive, come messe in moto dai movimenti dell’aria o dai transiti dei pianeti.
Si passa così a un quadro ad olio di grandi dimensioni dell’artista visiva triestina Cecilia Donaggio Luzzatto-Fegiz che, con la sua “Bora scura”, ci immerge in una profonda atmosfera invernale, in cui gelide sferzate di bora alzano il pelo di un mare percosso da raffiche che lo tingono del caratteristico color cobalto, gradazione fredda e desaturata del blu. Si scorre poi il progetto video “Altri mari / Other seas” del fotografo triestino Massimo Gardone, un trittico in cui, sovrapponendo gli scatti in una visione verticale, l’oggettivo e il soggettivo si fondono e si perdono, e quello stesso mare diventa altri mari, o come recita l’aforisma del poeta inglese Alexander Pope che appare in apertura del lavoro: “Il mare unisce i paesi che separa”.
Il primo capitolo della mostra si chiude così con due singolari prestiti dalla collezione d’arte del Museo della Bora, una stampa in edizione limitata elaborata dall’associazione Typos con un originale trattamento (tipo)grafico di un frammento de “Il mio Carso” di Scipio Slataper, e “Analisi Catabatica”, una serie di lightbox del fotografo triestino Roberto Pastrovicchio. Analisi Catabatica è l’invenzione di un metodo per rappresentare una raffica di bora attraverso l’effetto che essa crea. Fotografando e analizzando l’oggetto “ombrello” e facendo una correlazione con i dati meteo del giorno in cui è stata effettuata la campionatura, il fotografo ha iniziato così a creare un catalogo estetico delle raffiche.
Nella torre nord-est si passa alla Bora chiara, e precisamente alla poetica ricerca visiva della fotografa slovena di Trieste Nika Furlani che presenta il risultato di una lunga indagine su questo vento dal titolo “Burja”, in cui drappi di tulle ed enigmatiche presenze disegnano nell’aria il suo passaggio invisibile ma concreto sul Carso triestino, e agli ironici still life del fotografo triestino Davide Maria Palusa che tenta di ricreare in studio i devastanti effetti della bora sulle pietre carsiche in una sorta di esperimento destinato a un romantico fallimento. Si prosegue con “325 sassolini”, una serie infinita di quadri di piccolo formato dell’artista sloveno Erik Mavrič che, percorrendo la strada che lo porta al lavoro, raccoglie ogni giorno sassi e pietre lungo il tragitto, li fotografa ingrandendoli, li archivia e infine li ritrae ad acrilico in bianco e nero su un metafisico fondo blu, in un’operazione quotidiana senza fine in bilico fra meditazione e rito. Si arriva così a due lavori storici della grande pittrice triestina Maria Lupieri (Trieste, 1901 - Roma, 1961), due oli della fine degli anni ‘50 dal titolo “Carso” (bora chiara) e “Strada Napoleonica” (bora scura) che ritraggono le bianche pietre carsiche scosse da impietose raffiche di bora, in cui l’effetto del suo dipingere, dai tratti sempre mossi, è dovuto proprio all’immaginare un paesaggio eternamente agitato dal vento. Il progetto visivo si chiude infine con un ultimo fantasioso prestito dalla collezione d’arte del Museo della Bora “L’amante della Bora è il rumore del mare” di Alessandra Spigai, un’opera raffinatissima realizzata con caratteri di stampa mobili, che insieme agli altri lavori esposti dialogherà con la scultura di grandi dimensioni in cedro del Libano “Omega” di Gianpietro Carlesso che, in un gioco infinito di curvature, ci fa riflettere sulle eterne forze della natura.
“La bora suscita sentimenti e sensazioni difficili da spiegare a chi non è di qui. Dà vita e inscena un rapporto tutto nostro. Porta ognuno a ritrovare una parte di se stesso rimasta immutata dai giorni dell’infanzia, e nel contempo uguaglia tutti, rendendoli anche solidali tra loro, fedelmente attaccati a questo unico e composito margine di terra che ogni tanto, con la bora appunto, dichiara la sua assolutezza e la sua irripetibilità. (…)
Bora, burja: una di quelle poche voci uguali a pieno diritto, che nessuno dell’altra lingua fingerebbe di non capire o si sognerebbe di contestare.”
gennaio 1991, Fulvio Tomizza
da “È tornata la bora” in “Alle spalle di Trieste”, Bompiani, 1995
biglietto intero 4€ | ridotto 2€
Federica Zar