Modernità e Pathos delle LACRIME NAPULITANE nella tradizione Merola

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Modernità e Pathos delle LACRIME NAPULITANE nella tradizione Merola

Nel mese di settembre discutevo con alcuni attori sul fatto che in talune occasioni, il pubblico sembra reagire come se avesse voglia di tornare al Teatro Duemila gestito da Alfredo Razzieri negli anni’70, quando andava di moda la sceneggiata. Pare infatti, che nei pressi della stazione di Napoli, accanto ad una famosa pizzeria, esistesse "un’istituzione storica dedicata alla sceneggiata che oggi non c'è più". Intervisto qualche teatrante nato negli anni ‘40 e mi rendo conto che il ricordo della vivacità di quegli spettacoli è ancora fortemente presente. La nostalgia di questi racconti mi accompagna, finché...in una mattinata piovosa di novembre, attratta dal buon odore di mare e caffè proveniente dal “Gambrinus”, incrocio Francesco Merola e Marianna Mercurio (ormai conosciuta al grande pubblico per essere nel cast di Parthenope di Paolo Sorrentino), in attesa della conferenza stampa che annuncia le date della tournée della sceneggiata per eccellenza: “LACRIME NAPULITANE”.

Niente è per caso.Quando pensiamo a questo genere, si affaccia immediatamente l’immagine dell’ineguagliabile Mario Merola, canticchiamo -zan zan- in musica strappalacrime e pensiamo agli emigranti d’ America del secolo scorso. Vero? Ma forse chi legge ha detto: “’O Zappatore!” prima ancora che finisse la prima frase.Con il Discorso.it abbiamo assistito alla prima tappa, Sabato 7 dicembre 2024, al Teatro Roma di Portici: - sono partito da casa mia - dirà Francesco, degno figlio del maestro Merola, nella commozione della prima serata -poi gireremo l’Italia da Sud a Nord con oltre 50 date-. La sera della prima, infatti, non potevamo mancare, chi ama il teatro partenopeo lo sa: Totò, Luisa Conte, Viviani, Eduardo, Isa Danieli e molti attori conosciuti in tutto il mondo, sono passati per la sceneggiata.

«Una forma di teatro che sovraespone i sentimenti, un richiamo alla emozionalità, che riesce a creare una circolarità comune di emozioni tra pubblico e attori. Un genere nel quale le figure della marginalità sociale diventano protagonisti e un modo, inoltre, di fare emergere il senso di appartenenza alla collettività». A pronunciare queste parole è stato il professor Ettore Massarese, storico docente di Discipline dello Spettacolo dell’Università Federico II di Napoli.“Lacrime Napulitane” fu la sceneggiata del grande schermo, volutamente un po’ kitsch, vista da tutti negli anni '80, riscritta da Mario Merola ed ispirata all’ omonimo brano di Libero Bovio. Solo a parlarne, dal folclore, germogliano radici. Non ci sorprende, quindi, che l’evento abbia richiamato grande attenzione.Eravamo presenti al Teatro-cinema Roma di Portici, dicevamo, nell’adattamento del Maestro Nino D’Angelo (a cura di Cannio Vitale), con la regia di Gaetano Liguori e l'aiuto regia di Maria Autiero. Prodotto da World Tour di Tommaso Cafora, coordinato dallo Studio Palma Piras, lo spettacolo si avvale delle scene di Massimiliano Pinto, del direttore di scena Karl Wittke, del service audio luci Il Teatro di Marina Cividini, dei costumi di Anna Giordano, delle sarte Rosalba Mercurio e MarilùZagaria. Non sempre è necessario citare tutti, ma in questo caso abbiamo percepito il respiro vivo di ogni singolo elemento dentro e fuori la scena. Tanta autenticità e poche sovrastrutture. Ma anche tanta preparazione artistica. Sul palco oltre ai coniugi Merola, la cui potenza scenica è incommensurabile, la valida e rassicurante presenza di Adele Pandolfi nei panni della madre e il piccolo - grande Antonio Masucci nelle vesti del figlioletto, hanno racchiuso in sé tutto il mondo dei valori rappresentati: la lotta tra l’amore e la passione, la forza della famiglia, la sacralità dell’infanzia, il ruolo delle donne nelle nostrane famiglie matriarcali.L’armonia drammaturgica è stata incorniciata dall' orchestra diretta da Francesco Pascarella, con Antonio Vinciguerra alla batteria, Giovanni Palladino al basso e Gerardo Cipriano alla fisarmonica. L’importanza della musica dal vivo in uno spettacolo del genere ci racconta dello spessore storico-artistico di questo genere che pare avesse modelli già nel 1840 al Teatro San Carlino, in cui gli attori facevano da contrappunto alle scene ufficiali di lingua Italiana, rappresentando il popolo.Nell’anno 1925 “Lacreme Napulitane” fu musicata da Ferdinando Albano, tutta Napoli cantava “che nce ne costa lacrime St’ America, a nuje napulitane…”. L’emigrante che scriveva lettere appassionate alla madre affinché facesse tornare a casa la moglie scappata con un altro uomo, è uno degli elementi che viene cantata e recitata nell’allestimento riattualizzato sì, ma mai snaturato: “Mia cara madre, sta pe trasí Natale, e a stá luntano cchiù mme sape amaro”. Non sono mancate insieme alle “Lacreme napulitane”, le attese “Chiamate Napoli… 081”, “L’ultimo emigrante”, “Zappatore”, “Giuramento” e “Carmela”, nonché alcuni brani di Nino D’Angelo. 

Patriottismo, demagogia, neorealismo, forme musicali che fondono più generi, sono canoni rispettati in questa messa in scena che valorizza anche i bravi Antoine, Mery Esposito, Raffaele Esposito, Antonio Masucci, Cinzia Mirabella, Federica Parravano (credibile e sempre in parte), Antonio Sangermano, Anna Torcasio (che sa essere brillante ma senza sbavature), Sasà Trapanese.Sono tanti gli studiosi che si sono interessati di questo genere, da Pasquale Scialò a De Simone, e sarebbe ingiusto ricordarlo solo per aver trovato l’ escamotage drammaturgica contro le pesanti tasse volute per scoraggiare il teatro di varietà nel dopo guerra. Cafiero e Fumo con “Surrientogentile”, ma non solo, varcarono anche i confini nazionali. Siamo di fronte ad una pagina di storia del teatro complessa che merita approfondimenti in altre sedi. Ma tutto si trasforma e Francesco Merola, con questo progetto, sta ampliando gli orizzonti del genere pur difendendone le radici.Abbiamo iniziato con il commento sulle reazioni del pubblico e, per onestà, diciamo che le emozioni arrivate sono state intense, ma potevano essere più libere in uno spazio scenico meno freddo, dove l’uso imposto dei microfoni e la distanza dal palco, ha un po' rimesso il frac ad un genere peculiare proprio perché si è posto sullo stesso piano della gente, facendola sentire parte integrante della rappresentazione. Uno spettacolo da vedere sicuramente, che dimostra come modernizzare non ha significato farne un caso di cronaca nera, né restare imprigionati nel cliché “Isso, esse e ‘o malamente” caro al divertente format usato nel match e nell’improvvisazione teatrale.  La regia ha, invece, recuperato quel contrasto tra comico e drammatico che sa ancora attrarre lo spettatore. Augurandoci ci sia una tappa in Friuli al più presto, buon viaggio.

                                                                           Anita Laudando corrispondente