La storia di una donna chiamata a scegliere per la vita di suo figlio, di un’interruzione di gravidanza drammatica, ma illuminata anche da quel meccanismo caustico, fatto di ironia istintiva, che si attiva nelle situazioni disperate per proteggerci. Per illuderci che lo schianto con la realtà sia meno forte. È “Sala Party”, il monologo di e con Giustina Testa, per la regia di Daniela Dellavalle, che La Contrada porta in scena il 18 e 19 gennaio, alle ore 20.30, al Teatro dei Fabbri di Trieste per la rassegna di teatro contemporaneo AiFAbbri2.
Per poco più di un’ora “Sala Party”, con la sua atmosfera asettica, con le luci gelide da blocco operatorio, costringe il pubblico a soffrire con la sua protagonista. Una madre, inondata di amore e rabbia, di dolore e paura, ripercorre il travaglio di giorni ospedalieri che paiono senza fine. Vorremmo fuggire, scappare lontani da tutte quelle flebo, quelle parole, quelle contrazioni, quel dolore “che non porterà a nulla”. Ma nel testo di “Sala Party”, come nella vita, nelle situazioni più drammatiche l’ironia può arrivare come una scialuppa di salvataggio, il vetro da rompere in caso di emergenza.
Giustina Testa mette in scena un’esperienza che ha vissuto in prima persona: «Lo spettacolo parla di aborto terapeutico. Ho pensato molto se rivelare o meno che fosse anche un’esperienza personale, ma credo che su temi del genere possa essere utile esporsi, altrimenti resta sempre una sorta di pudore, comprensibile e legittimo, misto alla vergogna», afferma l’attrice e autrice.
Lo spettacolo invita a sospendere il giudizio su un tema così privato e delicato. «Ogni decisione è legittima nella vita di ciascuno. La legge dà delle garanzie, e questo dovrebbe bastare. Ma questo tema appartiene a quel limbo delle cose privatissime che, allo stesso tempo, muovono le coscienze e offendono. Sarebbe necessario modificare la narrazione di una certa retorica legata alla maternità, al dolore». In questo aiuta l’ironia, «uno degli strumenti possibili di fuga e difesa, ma anche un elemento che ci accomuna perché, quando si attraversa un trauma, ci si sente unici e incompresi»
E.L.