L’Uomo sulla Strada: la recensione del film di Gianluca Mangiasciutti

Un discreto film d'esordio, basato su un soggetto che non per niente ha vinto il Premio Solinas, ma che fatica a dare spessore ai personaggi.

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L’Uomo sulla Strada: la recensione del film di Gianluca Mangiasciutti

Irene (Aurora Giovinazzo) ha solo otto anni quando assiste alla morte di suo padre, falciato da un pirata della strada mentre raccolgono funghi insieme in un bosco. Purtroppo non riesce a ricordare il volto dell’assassino, che intravede solo per pochi istanti attraverso uno dei vetri dell’automobile.

Passano dieci anni, ma il terribile incidente ha profondamente segnato l’ormai diciottenne ragazza. La sua valvola di sfogo è il nuoto, ma l’instabilità del carattere le impedisce di fare fruttare il suo talento natatorio. Incapace di gestire la sua rabbia repressa, abbandona gli studi e la casa materna. Trova lavoro in una fabbrica, dove conosce Michele (Lorenzo Richelmy), tenebroso e criptico titolare dell’azienda. I rapporti di Irene con i colleghi non sono di certo idilliaci: finisce per mettere le mani addosso a un’operaia, mettendo a rischio il proprio posto di lavoro.

Incredibilmente, Michele non solo non la licenzia, ma comincia ad aiutarla. Tra i due nasce quella che sembra essere a prima vista una strana amicizia, ma è evidente che tra i due c'è del tenero e che Michele nasconde qualcosa. Ben presto sua moglie si accorge che il loro rapporto non funziona più e alla fine tutte i nodi vengono al pettine…

L’Uomo sulla Strada: un discreto film d’esordio

Per il suo primo lungometraggio Gianluca Mangiasciutti sceglie una storia originale e intrigante, non per niente la pellicola ha vinto il Premio Solinas come miglior soggetto scritto. Tutto il racconto ruota attorno a Irene e Michele, entrambi devastati da un’esperienza terribile e perseguitati dai fantasmi del passato.

Il film è al tempo stesso un racconto di formazione, una storia romantica e un dramma dalle fosche tinte, dove i protagonisti sono schiacciati dalle rispettive responsabilità e dominati da sensi di colpa, anche se nel finale espiazione e perdono mettono fine a ogni tormento interiore.

Mangiasciutti ha scelto ambientazioni semplici e spoglie, funzionali all’uso di primi piani che mostrano costantemente le emozioni delle persone, ma non riesce ad andare in profondità, superando una caratterizzazione dei personaggi forse eccessiva.

Tanto di cappello ad Aurora Giovinazzo e Lorenzo Richelmy, che hanno fatto miracoli per dare più spessore agli stereotipi a cui la storia sembra averli inchiodati. Irene è alla disperata ricerca dell’assassino di suo padre, ed è in lotta contro il mondo, mentre Michele è devastato dai sensi di colpa, e per questo è sempre mentalmente assente  e incapace di godersi la vita.

Uno dei punti di forza del film è che mentre lo spettatore quasi da subito conosce la verità e le reali motivazioni che muovono i due personaggi, i due protagonisti sanno molto poco l’uno dell’altro, e questo vale soprattutto per Irene. Questo fatto mantiene vivo l’interesse dello spettatore, che si chiede costantemente dove possa andare a parare la storia e, soprattutto, come reagiranno i personaggi quando verranno a conoscenza di un qualcosa che lui conosce già.

È il meccanismo narrativo che ha fatto la fortuna di Hitchcock, la suspance, tecnica che permette a L’Uomo sulla Strada di farsi vedere volentieri, anche quando la storia raccontata sembra perdere mordente.

Nel complesso un discreto lungometraggio d’esordio per Gianluca Mangiasciutti, che comunque ha dimostrato di conoscere il suo mestiere.