L'Ombra del Corvo, recensione del film di Dylan Southern

L'impegno di Benedict Cumberbatch non salva un film superficiale, confuso e banale, che vorrebbe riflettere sul lutto familiare ma invece annoia.

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L'Ombra del Corvo, recensione del film di Dylan Southern

Un padre (Benedict Cumberbatch) è da poco rimasto vedovo a seguito dell'improvvisa e del tutto inaspettata morte dell'adorata moglie. Nonostante sia dilaniato dal dolore, cerca di andare avanti con la sua vita, divisa tra la necessità di accudire i suoi due giovani figli e di continuare il suo lavoro di disegnatore.

Purtroppo i suoi generosi sforzi di mantenere una normalità almeno apparente vacillano, da un lato sotto il peso psicologico devastante della perdita non ancora metabolizzata, dall'altro per la sua oggettiva inettitudine nel badare alle faccende di casa e nel provvedere ai bisogni dei figli.

Come se non bastasse, un'ambigua, pennuta presenza comincia ad insinuarsi nella vita del suo malconcio nucleo familiare...

Benedict Cumberbatch in L'Ombra del Corvo

L'Ombra del Corvo: l'impegno di Benedict Cumberbatch non salva un film superficiale, confuso e banale

Questa pellicola vorrebbe essere una riflessione sull'elaborazione del lutto in una famiglia, basata sull'uso di una creatura fantastica che si fa da tramite verso un possibile percorso di salvezza, soprattutto interiore.

Un espediente già visto, alle volte con esiti veramente positivi, come nel meraviglioso Il Labirinto del Fauno, memorabile capolavoro cinematografico scritto, diretto e coprodotto da Guillermo del Toro nel 2006.

A tal fine, Dylan Southern utilizza, nel suo film, un corvo vagamente antropomorfo, con esiti, purtroppo, alquanto mediocri.

Si fatica fin dall'inizio a provare empatia per il padre, protagonista senza nome di questa pellicola, nonostante l'impegno profuso dal povero Benedict Cumberbatch.

Rendere credibile questo maschio tanto inetto da essere quasi caricaturale, incapace di fare un toast o di usare una lavatrice, che dichiara palesemente la sua inettitudine imbarazzante e la sua dipendenza da una moglie che invece faceva tutto, e bene, è veramente un'operazione improba.

Non aiuta di certo l'abuso di luoghi comuni in un percorso narrativo ondivago e incerto, popolato da pochi personaggi senza nome, impersonali, superficiali, quasi riempitivi di scene che alternano inutilmente tonalità calde e fredde, incorniciate in un inusuale e altrettanto inutile formato, approssimativamente 4:3.

Lo stesso corvo antropomorfizzato, che viene abbondantemente esibito in numerose scene, è paradossalmente forse il personaggio meno incisivo del racconto, a causa del suo comportamento scostante, che lo porta ad assumere un ventaglio di ruoli che vanno dall'inutile aggressione fisica del protagonista, al supporto psicologico di tutta la famiglia, alla lotta contro non ben definite entità malefiche, il tutto senza una logica o un arco narrativo comprensibile.

Il protagonista è poi quasi irreale, una specie di adolescente troppo cresciuto, padre suo malgrado, viene da dire, sempre chiuso nel suo studio, perso in fantasie disturbanti, con rapporti sociali non ben definiti, in definitiva un cialtrone alla deriva, perso in un mondo fantastico, che sottrae credibilità a tutta la storia, che si srotola monotona fino all'inevitabile, prevedibile, ma quasi agognato, dopo quasi 100 minuti di noia, finale telefonato.

Questo film è tratto dal libro Il dolore è una cosa con le piume, di Max Porter, che non ho letto, ma la visione del lavoro di Dylan Southern non mi ha fatto di certo venire voglia di acquistarlo, cosa che dico a bassa voce perché è probabile che questo sia l'ennesimo caso di buon testo narrativo massacrato dalla sua trasposizione cinematografica.

Peccato.