In un’epoca in cui il valore del materiale, del fatto a mano, del durevole, sta venendo a spegnersi, la Michelangelo Foundation ha messo in moto una sorta di rivoluzione, un nuovo “Rinascimento”, che punta a riscoprire il legame esistente e sempre esistito tra artigianato e vita umana.
“Homo faber fortunae suae”, si pensa che abbia sentenziato Appio Claudio Cieco, e Homo Faber sembra voler approfondire questo concetto: l’uomo è artefice, sia di qualcosa di immateriale (il suo destino), sia di qualcosa di materialissimo, che esprime la sua stessa essenza e che solo dall’uomo può essere creato. Qualcosa che poi, resterà nel tempo, rendendo la mano di chi lo ha creato immortale.
Per questo nella sua piattaforma Homo Faber Guide, la Michelangelo Foundation raccoglie artigiani da tutto il mondo, gallerie, musei, esperienze e negozi legati all’artigianato d’arte. Mette in contatto utenti e artigiani, grazie all’aiuto della geolocalizzazione, per promuovere gli artigiani e riavvicinare il pubblico a questi.
Homo Faber 2024: The Journey of Life
L’apice del movimento viene raggiunto con Homo Faber biennale, un evento che si tiene sull’isola di San Giorgio e che riunisce negli spazi della Fondazione Cini manufatti di artisti provenienti da tutto il mondo. Questa edizione, posta sotto la direzione artistica di Luca Guadagnino e Niccolò Rosmarini, porta in mostra più di ottocento opere di oltre quattrocento artigiani provenienti da settanta Paesi.
Questa edizione, The Journey of Life, mira a rendere più stretto ed esplicito il legame tra artigianato e vita: i diversi manufatti, qui, scandiscono i momenti della vita umana, sono parte fondante di essa e prodotti da essa. Per questo gli spazi della Fondazione Cini sono stati divisi secondo le diverse fasi della vita. Si viene accompagnati, dai diversi operatori, in un viaggio che implica una crescita. In ogni spazio, artigiani singoli e legati a grandi marche proseguono i loro lavori, mostrando direttamente agli spettatori cosa ci sia dietro a un prodotto finito.
Lo spazio dedicato alla nascita, nel cortile della Fondazione, è occupato da un’enorme riproduzione del gioco dell’oca, reinterpretato attraverso l’arte del ricamo da diverse persone e personalità, ognuna delle quali riproduce la propria casella: la partenza, la genesi di ognuno di loro, esprime a pieno quello che erano e che sono diventati.
Si passa poi attraverso l’infanzia, con giochi e case in miniatura che rimandano non solo alla spensieratezza dell’infanzia, ma anche alla nostalgia che si prova pensando ad essa.
La celebrazione è posta nella sala che ospita l’incredibile riproduzione delle Nozze di Cana di Veronese: un tavolo specchiato riunisce oggetti per la tavola, reinventati e rimodellati dalle più diverse sensibilità, come se questi artigiani avessero voluto prolungare la superficie del quadro e invitare lo spettatore a unirsi al banchetto.
L’eredità viene riletta come esperienza immersiva, dove, sotto un soffitto dove si proiettano le mani degli artigiani che producono manufatti, questi stessi sono esposti davanti allo spettatore. L’eredità dunque, lasciata a noi, si manifesta nelle sue diverse forme: due artisti, padre e figlio, reinterpretano un tipico dono giapponese, che si fa ai bambini, rappresentato da una bambola, raffigurante un idolo o un esempio che si vuole seguire. Le diverse letture, una più tradizionale (del padre) e una più moderna (del figlio), ricalcano doppiamente il concetto di eredità: la tradizione viene infatti mantenuta e adattata alla nuova sensibilità del più giovane.
La delicatezza dell’amore viene letta attraverso un trionfo di fiori, composti dai più diversi materiali, mentre l’amore come unione è celebrato attraverso gli oggetti più vari: un cuore fatto di materiali riciclati, un letto, poltrone e sedie e così via.
Si passa poi ai viaggi, alla natura, ai sogni, dove in un ambiente buio l’unica luce proviene dalle maschere prodotte da diverse tradizioni, disposte intorno a una vasca d’acqua da cui emergono figure senza volto: nel sogno, infatti, possiamo essere chiunque, è difficile vedere noi stessi.
Dopo i dialoghi, l’ultima sala è dedicata all’aldilà. Una sala, colorata da diverse culture, ci dimostra le diverse modalità con cui viene affrontato il tema della morte e di quello che c’è dopo di essa. La colorata costruzione in carta è un esempio di Hojis, costruzioni in carta di vario tipo che vengono bruciate durante dei rituali che si svolgono per il trapasso di una persona. Il fumo, che si eleva, viene considerato come ponte, un augurio di una serena vita nell’aldilà. La barca a remi dai colori vivaci che si trova di fronte, invece, è, di fatto una tomba: nel Ghana infatti queste prendono una forma che rispecchi un aspetto della persona defunta, la sua professione, la sua personalità.
La fine dunque assume diverse forme, come le ha assunte, all’inizio del percorso la nascita. Forse è proprio questo che ci vuole comunicare Homo Faber 2024: The Journey of Life: se l’artigianato e l’uomo sono inscindibili, allora ciò che l’uomo produrrà sarà sempre vario, imprevedibile e nuovo e, per questo, unico.