Stella Maris – Tra fede e mistero, il recital/concerto con testo teatrale scritto da Paola Apuzza e Maurizio Merolla torna a illuminare l’Epifania, dopo il successo delle fortunate rappresentazioni presso il Santuario del Santissimo Rosario di Avellino, la Chiesa Maria Santissima di Loreto di Torchiati di Montoro e la Basilica del Carmine Maggiore di Napoli.
La Compagnia Teatro degli Eventi, diretta da Maurizio Merolla, in occasione dell’Epifania 2024, chiude il ciclo di rappresentazioni sacre negli spazi della Chiesa del Santissimo Rosario e San Vincenzo Ferrer di Pozzuoli il 6 gennaio 2024 alle ore 19.30 (con ingresso libero).
Il racconto dell’Annuncio e della nascita di Gesù, intervallato da musiche e canti natalizi, è stato concepito come scene di un presepio, con la presenza, oltre che degli attori principali della sacra rappresentazione, di alcuni personaggi che, dal XVIII secolo, sono parte integrante del presepe napoletano, come Benino, le pastorelle ed Erode. Tutti i personaggi, conservando la sacralità della funzione, sono caratterizzati nella loro natura umana, con i sentimenti contrastanti che, l’evento della incarnazione di Dio in una donna, racchiude in sé.
La rappresentazione teatrale non propone una visione stereotipata dell’evento sacro – consolidatasi nella tradizione iconografica e narrativa – secondo la quale Maria e Giuseppe, già con aura di santità, accolsero con fervore mistico e sublime accettazione, l’Annuncio dell’Arcangelo Gabriele.
Gli autori hanno voluto dare una connotazione realistica ai personaggi, facendo emergere i sentimenti più veri di uomini e donne che, per la prima volta, si confrontano con il divino, emozioni profonde e sconvolgenti che vanno dalla paura, dallo stupore e dall’incredulità, fino al dubbio.
È soprattutto il dubbio, vissuto come esperienza interiore volta alla conoscenza, il “dubito ergo sum” di S. Agostino, scevro da scetticismo, che descrive l’incontro di Maria e Giuseppe con il messaggero del Padre. E poi il dubbio si insinua in Anna, insieme alla rabbia e allo sconforto al pensiero che Maria, tradendo la morale e la religione, sia rimasta incinta da uomo prima delle nozze. Dubbio che poi, per una convinta e devota professione di fede, si trasforma per i protagonisti in un fiducioso affidamento al volere del Padre.
Fuori campo è possibile ascoltare la voce profonda e tonante dell’Arcangelo Gabriele che annuncerà a Maria la volontà del Padre di farsi figlio nel suo ventre.
Altro tema del racconto, suddiviso in quadri scenici, è il viaggio guidato dalla stella che viene dall’oriente. Benino e le pastorelle, connotati psicologicamente nella profonda umanità degli umili, degli ultimi che, il Dio fatto uomo, vuole vicini alla sua nascita, inseguono la stella cometa, l’astro che preannuncia l’evento divino della nascita del Bambino Gesù, la stella che potremmo identificare come la guida all’eterna ricerca dell’uomo di una ragione di speranza.
Benino e le pastorelle parlano la lingua napoletana che, per la sua potenza verbale, la varietà lessicale ed espressiva e la sua musicalità, comunica in modo magistrale le sfumature e le emozioni vivide dei personaggi.
Tutte le scene della rappresentazione saranno introdotte dall’Angelo narratore, una figura alata eterea e dorata, che ha il compito di riannodare le fila della storia della nascita di Gesù, guidando con voce soave gli spettatori, dall’Annunciazione di Maria all’Adorazione dei pastori.
E in un presepe napoletano vivente non poteva mancare Erode, simbolo del potere e del male, il lato oscuro dell’essere umano. Erode è la Storia che entra, con la sua violenza, nella poesia del Natale; è il potere di Roma che deve prevalere sul popolo inerme ammazzando bambini innocenti, è il sangue che macchia, come preludio della Passione, la nascita di Gesù. Il personaggio Erode racchiude in sé le mille sfumature dell’uomo e del re, la fredda razionalità e la lucida follia, la ragion di stato che travalica la morale, la paura di perdere il potere e la ricerca forsennata di una soluzione, qualunque soluzione, non importa se crudele e cruenta, per continuare a cingersi il capo della corona. La corona da re, per derisione fatta di spine, con la quale, poi, un giorno, i Romani incoroneranno il Cristo sulla croce.