A Venezia, in occasione della Biennale, il Palazzo Rocca Contarini Corfù è stato scelto come sede privilegiata per ospitare la mostra collaterale dell’artista e poeta americano Jim Dine. Entrando nel palazzo, dunque, veniamo guidati tra una cinquantina di installazioni site-specific, che vanno dagli anni Ottanta ad oggi, tra cui vengono annoverate trentadue opere nuove dell’artista.
Fondamentale per l’autore, nel suo modo di operare, è il dialogo: ogni confine viene abbattuto da una personalità che per autodefinizione è l’opposto della staticità. Parlando di sé, infatti, Dine ha dichiarato:
“Per tutta la vita sono stato in movimento, mi è difficile stare fermo. È una qualità iperattiva, direi. Mi è sempre piaciuto andare da uno studio all’altro, da un paese all’altro. Per me viaggiare è come usare il rosso“
È la dinamicità, dunque, che genera questo dialogo che in primis troviamo nel misterioso titolo della mostra, il quale unisce dentro di sé arte e letteratura: “Dog on the Forge”, infatti, non è altro che la trasposizione di un verso di una poesia scritta da Jim Dine stesso, nella sua veste di scrittore. Ma non solo.
Ciò che troviamo infatti in una continua situazione di collaborazione nelle opere di Dine, sono i materiali, non solo nello spazio espositivo, ma anche all’interno di una singola opera. Vediamo esposti, di fatto, dipinti e disegni assieme a sculture in bronzo e legno, che al loro interno mescolano oggetti e materiali più vari.
Tutto questo, tuttavia, si lega o, meglio, si innesta, su un ragionamento più profondo, che nasce appunto proprio dalla scelta della sede espositiva e del suo allestimento: la relazione (e quindi sempre il dialogo) tra antico e moderno, tra storico e nuovo. Palazzo Contarini Corfù, che nella sua prima costruzione risale al 1300, viene legato con naturalezza a qualcosa di contemporaneo in ogni piano.
Già dall’ingresso al piano terra un lungo spazio ci porta, attraverso quadri e disegni che si fanno sempre più scuri seguendo la luce naturale che penetra nelle aperture della sala, allo spazio di legno attiguo alla antica porta ad acqua. Qui, quasi appendici naturali dell’ambiente, si stagliano grandi sculture in legno di Pinocchio, isolate dal resto e circondate dal suono della laguna, quasi fungano da barche pronte a essere utilizzate.
Salendo al primo piano attraverso la scalinata si arriva a un ambiente dove la commistione tra le epoche risulta ancora più netta, grazie a una grande sensibilità coloristica. Il bianco e il rame, che ritornano nelle diverse opere appese sulle pareti del primo salone, riprendono le rifiniture delle pareti stesse, quasi inglobando i quadri in un unico sistema.
Arrivando alla sala attigua, troviamo due grandi vasi che traboccano fili ramati, avvicinati a specchi sulle pareti che quasi ne moltiplicano e ribadiscono allo spettatore, con un gioco di rimandi, la giusta presenza in quel luogo.
Tutto, dunque, deve essere guardato nel suo complesso e non a caso nessuna spiegazione affianca le opere con cui lo spettatore entra in contatto. Per Dine, infatti, non è importante la singola opera, e nemmeno che questa possa essere bella o brutta: l’azione corale delle opere esposte che collaborano con il loro contesto di esposizione deve muovere all’emozione, che a sua volta porta a una personalissima spiegazione. Lo stesso Dine ha affermato, riguardo ai nuovi dipinti:
“Non mi interessa renderli belli. Mi interessa scolpire immagini che vi commuovano“.
È l’emozione, dunque, l’elemento su cui si incardina l’opera di Jim Dine, e su cui si innesta questo dialogo che annulla quelli che sono i confini soprattutto temporali. Ciò che ritorna, infatti, durante la visita, è la sensazione che quegli oggetti e quei dipinti siano sempre stati là e siano stati concepiti per stare là. Questo è soprattutto evidente nel giardino di ingresso, dove, alle sculture del XVIII secolo, troviamo affiancate le opere di Dine. Tra queste vi è un pozzo che sembra quasi si voglia nascondere: pur essendo probabilmente nato in quel luogo, si confonde tra sculture che in quel luogo sono state poste solo di recente. Tuttavia si nota immediatamente non solo per la sua antichità, ma anche per la somiglianza con la contemporaneità. Questo avviene proprio perché è diventato parte di un insieme, che vince ogni individualità o confine, inglobando lo spettatore in una dimensione di assoluta sintonia tra passato e presente.