Questo film racconta la spaventosa realtà che ha ruotato intorno al campo di concentramento di Auschwitz da una prospettiva inedita: quella della famiglia di Rudolf Höss (Christian Friedel), che viveva in una villetta il cui giardino era delimitato dai muri della struttura dove sono stati sterminati milioni di esseri umani.
Una famiglia borghese i cui privilegi derivavano dalla confisca dei beni e dallo spietato sfruttamento dei deportati nel campo, destinati per la grandissima parte a finire la propria vita in modo atroce, nella camere a gas.
Gli orrori accaduti all'interno della struttura non vengono mai mostrati direttamente, ma tutto il film allude al mondo distopico del campo di concentramento, tramite il fumo che costantemente esce dalle ciminiere, i bagliori notturni da esse emanati, i rumori disturbanti che superano il perimetro elettrificato del campo, la cenere presente ovunque, tanto da contaminare anche il fiume locale.
Una realtà mostruosa che tuttavia non sembra turbare minimamente i membri della famiglia Höss. Rudolf è un padre premuroso, che organizza meravigliosi picnic per i suoi cari, racconta le fiabe alle sue bambine, si preoccupa di spegnere le luci della villetta ogni sera, controllando anche che le porte siano chiuse con il chiavistello.
Sua moglie Hedwig (Sandra Hüller) organizza meticolosamente la vita di casa, sovrintendendo il lavoro della servitù e prendendosi cura dei suoi cinque figli. In casa comanda lei, alla faccia del patriarcato, e quando il marito viene promosso e deve lasciare il campo fa una scenata isterica, ottenendo di rimanere ad Auschwitz per accudire la prole, mentre il consorte corre a Praga per organizzare solertemente lo sterminio degli ebrei locali, il cui trasporto pone una sfida non indifferente all’industria dello sterminio nazista.
Ma il buon Rudolf ama il suo lavoro, come sottolinea Hedwig parlando a sua madre, e riuscirà a risolvere sia i problemi tecnici legati alle nuove camere a gas e forni crematori a ciclo continuo, sia quelli logistici connessi al trasporto dei condannati all’annientamento.
La Zona d’Interesse: un piccolo gioiello disturbante
Ma la realtà concentrazionaria e le sue mostruose problematiche rimangono sullo sfondo del film, relegata prevalentemente nel fuoricampo, mentre il primo piano rimane tutto dedicato alla famiglia Höss, le cui dinamiche interne sono apparentemente confinate al perimetro dei normali piccoli conflitti presenti negli ordinari rapporti tra coniugi e figli in una realtà borghese.
Esattamente il contrario di quanto accade in molti altri film, anche di grande valore, realizzati per mostrare l’abominio dei campi di concentramento, ambientati invece al loro interno.
L’effetto è veramente disturbante, e viene ottenuto senza mostrare quasi nulla delle mostruosità che avvengono all’interno del campo di sterminio di Auschwitz, perché di fatto è proprio la banalità del male che provoca il voltastomaco nello spettatore.
O almeno questo è quello che accaduto a me, mentre mi lasciavo trasportare dal lento racconto di questo film, che di fatto mostra i piccoli accadimenti in casa Höss: il compleanno di papà Rudolf, i bambini che vanno a scuola, mamma Hedwig che cura i fiori e coccola l’ultimogenito, la nonna che viene a trovare sua figlia, fiera del fatto che si è sistemata bene, i pasti preparati dalla servitù. Insomma, una famiglia normale.
Nel frattempo papà Rudolf lavora sodo, parla con i fornitori del campo, vaglia le tecnologie più opportune ed efficaci per sterminare i deportati all’interno del campo di concentramento, valuta come garantire nuovi schiavi per l'industria bellica tedesca, i cui capitani sono preoccupati del fatto che i detenuti vengano sterminati prima che possano essere sfruttati al massimo. E anche questa attività viene mostrata come una cosa normale.
Tutto il film ruota intorno alla contrapposizione tra l’apparente normalità di quanto viene percepito dai gerarchi nazisti e dalle loro famiglie e la mostruosità di quanto viene perpetrato dal loro infame regime, tramite il loro solerte e abominevole lavoro.
Un film che in definitiva mette in scena la volontà di non volere vedere, di percepire come normale ciò che è invece mostruoso, e lo fa con grande efficacia, con un racconto semplice, quasi banale, che scorre lentamente, ma che lascia inorriditi nel profondo.
Un grande film da vedere assolutamente. Al cinema.