John “Aristotele” Knox (Michael Keaton) è un killer professionista freddo ed efficiente, che conduce una vita solitaria. Gli unici rapporti umani che coltiva sono gli sporadici contatti con i suoi colleghi e la visita settimanale di Annie, una prostituta.
Ma la sua monotona routine è destinata a essere rivoluzionata da due eventi inaspettati. Prima gli viene diagnosticata una malattia cerebrale degenerativa a decorso molto rapido, poi suo figlio, che non vedeva da molti anni, viene inaspettatamente a fargli visita.
Si è messo nei guai. Guai seri. E per venirne fuori, ha disperatamente bisogno dell’aiuto paterno…
La Memoria dell’Assassino: un piacevole neo-noir vecchio stampo
La Memoria di un Assassino è una pellicola che privilegia il punto di vista maschile, mettendo in scena un protagonista tutto d’un pezzo, che non nasconde a sé stesso i suoi fallimenti, ma che decide di affrontare con tutti i mezzi una situazione senza speranza, pronto a sacrificare tutto pur di mantenersi fedele ai propri valori, per quanto discutibili possano essere.
Un film insomma che mette in scena un protagonista e delle situazioni che potrebbero essere usciti dalla mente di Clint Eastwood.
A dire il vero non sappiamo perché “Aristotele”, multilaureato ed ex-ufficiale dei corpi speciali dell’esercito statunitense, sia diventato un killer, anche se ci viene fatto capire che le sue vittime siano per lo più pendagli da forca.
Di certo è circondato da criminali, che però come lui seguono un loro codice d’onore, come per esempio il suo amico Xavier (Al Pacino), ladro e truffatore che però gli sta vicino fino alla fine, senza mai approfittare del declino cognitivo di John.
L’idea del killer con una malattia degenerativa non è nuova, è una cosa che abbiamo già visto in Memory, del 2022, con protagonista Liam Neeson, ma che in La Memoria dell’Assassino diventa anche occasione per parlare del difficile rapporto tra padri e figli, anche se il tema centrale rimane come affrontare con dignità l’inesorabile declino cognitivo associato a certe patologie e, per estensione, le prove più dure della vita e, in definitiva, la morte stessa.
Perché quando il cervello smette di funzionare in pratica si smette di esistere come individui consapevoli. In effetti il titolo originale in inglese, Knox Goes Awway (Knox se ne va via), rende molto più onore al contenuto del film.
Il racconto è ben strutturato, costruito attorno a pochi personaggi ben disegnati, sostenuto da un buon ritmo, ottimamente recitato, con un perfetto bilanciamento tra scene d’azione e momenti interlocutori, tanto che i 114 minuti della pellicola volano via veloci.
Gli unici nei, se vogliamo etichettarli come tali, è che in effetti rimane oscura la fase di trasformazione di John da ufficiale a killer, così come rimane sospesa ogni valutazione morale sul suo comportamento.
Forse qualche ben pensante potrebbe non essere d’accordo, ma per me si tratta di scelte rispettabilissime, anche perché non è scritto da nessuna parte che il cinema debba esprimere giudizi etici, e comunque la pellicola funziona benissimo.
Specie per un pubblico maturo, che si è formato cinematograficamente ben prima dell’avvento del politically correct e dell’applicazione del Manuale Cencelli alla diversità nei prodotti audiovisivi. Come è accaduto per il sottoscritto.
Un film da vedere.
Al cinema.