La Fiera delle Illusioni: ovvero come un illusionista può illudere sé stesso
Stanton “Stan” Carlisle (Bradley Cooper) è un uomo in fuga da un oscuro passato, negli Stati Uniti d’America dei primi anni Quaranta. Arriva in un circo itinerante, diretto da Clem (Willem Dafoe), dove incontra l’avvenente Zeena (Toni Collette) e il suo compagno alcolista, Pete (David Strathairn), dai quali impara il mestiere, diventando un illusionista.
Conosce anche la giovane Molly (Rooney Mara), e scappa con lei, mettendosi in proprio. Il successo arriva rapido, i due diventano una coppia di successo nei locali notturni, ma Stan non si accontenta.
Il caso gli offre l'opportunità di potersi spacciare come un medium dotato di poteri eccezionali, grazie anche all’incontro con la sensualissima Lilith Ritter (Cate Blanchett), psichiatra dalla personalità tormentata, con la quale comincia una collaborazione molto sui generis.
Ma il successo di Stan è fondato su un basamento di argilla, e ben presto la situazione gli sfugge di mano…
La Fiera delle Illusioni: Guillermo del Toro rivisita e aggiorna la versione del 1947, di Edmund Goulding
Questa pellicola è basata sull’omonimo romanzo di William Lindsay Gresham, che aveva già conosciuto una prima trasposizione cinematografica nel 1947, diretta da Edmund Goulding, nella quale Stan era interpretatao da Tyrone Power.
Una scelta che al tempo non venne apprezzata dal grande pubblico, che per la prima volta vedeva uno degli attori più quotati del periodo indossare le vesti di un personaggio molto negativo, specie per gli standard del tempo.
In effetti Stan è un eroe tragico, votato all’autodistruzione, che in entrambi i film descrive un percorso circolare: riesce a salire la scala sociale, raggiungendo un successo eccezionale, per poi ridiventare un paria, un emarginato dimenticato da tutti.
Ma se nella versione del 1947 alla fine rimane ancora una speranza di redenzione, Guillermo del Toro non sembra concedere al protagonista una seconda chance, a meno che lo spettatore non decida di fare qualche volo pindarico, cosa ovviamente sempre possibile.
Inoltre la seconda parte del film sterza decisamente verso il noir, con una Cate Blanchett che impersona una conturbante femme fatale, decisamente più efficace della Helen Walker del 1947.
Guillermo del Toro si diverte giocare con l’atmosfera dark del film, lasciando molto più spazio anche alla dimensione orrifica presente nel circo, nel quale il pubblico trovava molte attrazioni, come quella dell’uomo-bestia (mai mostrato nel film di Goulding), che di certo non solleticavano i lati migliori degli esseri umani.
Il risultato è una pellicola visivamente molto più stimolante. Del resto sono passati quasi sessant’anni tra la prima versione cinematografica e quella odierna, un tempo siderale, durante il quante i gusti del pubblico sono notevolmente cambiati e i progressi tecnologici sono stati tali da rendere realizzabile facilmente quanto un tempo non era neanche pensabile.
Lo Sten di Guillermo del Toro è inoltre un personaggio molto più complesso, dal passato molto più oscuro, e in generale molto più negativo e votato all’autodistruzione di quello disegnato da Goulding.
La Fiera delle Illusioni: un film godibile, forse troppo lungo, ma ben lontano dalle vette raggiunte da Guillermo del Toro
In generale questa versione della Fiera delle Illusioni è un film godibile, nel quale lo spettatore viene invitato a perdersi nelle ambiguità delle illusioni dei vari personaggi, soprattutto in quelle di Stan, che alla fine viene travolto dai meccanismi che lui stesso ha messo in moto.
Una pellicola con un cast stellare, del quale non si può non ammirare la bravura, specie per quanto riguarda Bradley Cooper e Cate Blanchett. Forse un po’ troppo stellare, a dire il vero, perché certi attori sono sprecati quando devono impersonare personaggi monodimensionali, come per esempio succede a Willem Dafoe quando deve indossare i vestiti del bieco e cinico Clem, un personaggio del tutto secondario nel film di Goulding, al quale viene concesso molto più spazio in questa versione.
Del resto non poteva essere diversamente, visto che la pellicola dura ben 150 minuti, mentre la versione del 1947, che di certo non era una pellicola dal ritmo frenetico, era lunga solo 111. Ben 39 minuti di meno.
In effetti non si capisce per quale motivo Hollywood abbia deciso di allungare di tanto i film, tanto che ormai la durata standard sembra essere di circa due ore e mezza. Spesso il risultato è un brodo allungato, nel quale anche gli elementi più interessanti di diluiscono in un marasma di riempitivi.
Se in film originali e dal buon ritmo, come per esempio il recente e godibilissimo Don't Look Up, il danno è trascurabile, in altre pellicole questa scelta andrebbe fatta con maggiore discernimento.
Non fa eccezione La Fiera delle Illusioni, pellicola che nella prima parte e, soprattutto, in quella centrale, forse tira un po' troppo per le lunghe, con un certo calo di ritmo. Peccato.
L’impressione generale è che alle volte si riempiano i film di personaggi e di eventi non tanto per rendere più interessante la storia, quanto per esigenze di politically correct, come nel mediocre Eternals, o per dare più visibilità mediatica a un film, utilizzando molti attori di grido.
Al netto di queste considerazioni, Guillermo del Toro ha fatto il suo dovere, senza infamia e senza lode, ma è rimasto anni luce lontano dai livelli stellari raggiunti in passato, come nel magnifico e visionario Il Giardino del Fauno.
Forse la permanenza a Hollywood non fa bene alla creatività e all’autorialità degli artisti. Questione di scelte...