Per Italico Brass, originario di Gorizia, è stata sicuramente fondamentale la frequentazione dei pittori impressionisti durante il suo periodo parigino. Tuttavia, non è per le raffigurazioni di Parigi che è conosciuto, e nemmeno per la sua collocazione nella corrente impressionista: Italico Brass, definito spesso come il “Pittore di Venezia”, ha sviluppato una pittura sui generis, “ha fatto parte a sé”, ritraendo i suoi soggetti in maniera unica. Ciò che sicuramente emerge dalle opere su Venezia, è il fatto che abbia saputo cogliere, come pochi, la vera essenza della città e dei cittadini, vedendo oltre, o per meglio dire in profondità, a quello che gli si parava davanti. È quello che ci vuole dimostrare l’attuale mostra a Palazzo Loredan “Italico Brass, il pittore di Venezia”, con un obbiettivo altamente sfidante: riproporre una mostra sull’autore a ottant’anni dalla scomparsa, rileggendo non solo la sua figura di artista, ma anche di intellettuale. Veniamo quindi accompagnati, nella prima sala, a conoscere l’evoluzione che lo ha portato a sviluppare la sua pittura unica, nel panorama lagunare e chioggiotto: troviamo proprio qui i “Chioggiotti alla briscola” premiato sia a Parigi che alla Biennale di Venezia, e al tempo stesso veniamo presi in giro da una delle “Due buranelle” che ci guarda con ironia. Si passa poi anche alla Venezia della Prima guerra mondiale (presa di mira anche per la vicinanza a Caporetto) dove però per Brass, anche in una situazione di tensione, la città non perde la sua solita vivacità e tipicità, come si evince dalla “Bomba ai scalzi”, in cui, se non facessimo caso al soffitto sfondato della chiesa, sembrerebbe di assistere ad una concitata scena di vita quotidiana. Una cosa che ricorre nelle opere esposte è proprio questa: la capacità di suscitare nello spettatore la sensazione di essere lì, nella zona rappresentata, in quel momento. Chiunque conosca Venezia potrebbe riconoscere immediatamente la sensazione che si prova passeggiando per le zattere raffigurata nel dipinto “Processione della salute”: la stessa calma, lo stesso sentirsi in un mondo lontano e parallelo alla concitazione di piazza San Marco prende lo spettatore in quel momento. La mostra, non a caso, si è organizzata come se camminassimo non per le sale di Palazzo Loredan, ma per Venezia stessa. Veniamo portati da una sala all’altra accompagnati non solo dalla pittura, ma anche dalla scrittura: nel 1894 Henriette Perl nel suo volume “Venezia” (ricco di vignette incise) aiutava lo spettatore ad immergersi nell’atmosfera veneziana, in un mondo, quello della fine dell’Ottocento, in cui il turismo stava prendendo sempre più piede. Dunque, descrizioni, quadri e persone in visita (perlopiù veneziane) contribuiscono a far vivere nelle sale del Palazzo un’esperienza praticamente immersiva. Una cosa però ritorna nelle opere di Brass, ed è la rappresentazione delle folle. Le “Comari in corte colonna” ci danno le spalle, quasi escludendoci dal loro momento di conversazione, mentre alcuni uomini e donne a “San Marco al Caffè Lavena” sono volte verso di noi quasi a volerci parlare e coinvolgere: addirittura un cameriere sta avanzando dalla nostra parte, quasi a volerci fare accomodare a un tavolino libero ai margini della tela. Insomma siamo immersi in un atmosfera caotica e coinvolgente, che ci fa comprendere a pieno l’affermazione di Perl: “Per capire cos’è Piazza San Marco per i veneziani bisogna essere iniziati ai costumi della città”. Di fatto sono le folle a occupare i quadri, folle fatte di persone perfettamente inserite nel contesto dove sono poste, e che decidono se respingerci, coinvolgerci, o lasciarci decidere se avvicinarci a loro o meno (come le donne e i bambini che assistono allo spettacolo dei “Burattinai in campo Santa Margherita”, opera dove troviamo un significativo spazio vuoto tra noi e gli spettatori dipinti di spalle, quasi a emularci). Tutto questo naturalmente è legato alle osservazioni di Perl, secondo cui “chi ha trattato Venezia come una città morta (…) deve ammettere che raramente ha visto più vita e movimento concentrati in meno spazio che a Rialto e dintorni durante la mattinata”. Tuttavia qualcosa stona, e questo qualcosa è inevitabilmente legato alla neve: nel quadro “Neve a Santa Margherita” il campo innevato lascia aleggiare fuori e dentro di se un’atmosfera di sospensione, aumentata dalla quasi totale assenza di persone. Se ci ricolleghiamo alle parole di Perl, per cui questa città che si astiene magicamente e unicamente alla modernizzazione è resa viva dal continuo flusso di persone e attività, allora possiamo dire che Italico Brass, nel suo rapportarsi intimamente alla città abbia colto qualcosa in più, oltre questo: il fatto che Venezia sia una città viva, alla stregua delle persone che la abitano e che, come tutti gli esseri viventi, ha bisogno anche lei di riposo. Qui troviamo una Venezia in attesa, quasi stanca, che approfitta del periodo di freddo per nascondersi sotto il velo bianco della neve: sarà grazie a questa meritata pausa che poi potrà rinascere ancora e riospitare con la sua antica vitalità persone nuove.
Italico Brass, il Pittore di Venezia
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