A molte generazioni di distanza dalla morte di Cesare, leggendario fondatore della società di scimmie intelligenti ribellatesi all’uomo, il pianeta Terra è una landa lussureggiante, dove gli uomini sono regrediti allo stato selvaggio e sono ormai diventati incapaci di parlare.
Il giovane scimpanzé Noa vive nella sua pacifica tribù, che sopravvive grazie a una rudimentale agricoltura e all’allevamento di aquile. Il nostro protagonista il giorno seguente dovrebbe affrontare un rito di iniziazione, che prevede l’utilizzo di un uovo di aquila sottratto da un nido di rapaci. Purtroppo si imbatte in una giovane umana, alla disperata ricerca di cibo nella dispensa dei quadrumani.
Nella colluttazione che segue Noa rompe il suo prezioso uovo rituale, mentre l’aspirante ladra riesce a darsela a gambe, per cui il nostro eroe peloso decide di cercare un altro uovo, mettendosi contemporaneamente sulle tracce della fuggitiva.
Ma anche un gruppo di scimmie rivali sta cercando quest’ultima, e per trovarla non esita ad attaccare il villaggio di Noa, sterminando chi resiste e deportando in schiavitù gli altri.
Noa lotta disperatamente per salvare suo padre, ma dopo una feroce combattimento con il capo degli invasori ha la peggio. Armato solo di coraggio si mette sulle tracce delle scimmie rivali, affrontando un mondo per lui nuovo e sconosciuto, al di là del territorio della sua tribù.
Comincia il suo bel viaggio dell’eroe…
Il Regno del Pianeta delle Scimmie: un film visivamente fantastico che porta avanti i temi cari alla saga nata nel lontano 1968
All’inizio del film sembra che gli uomini siano definitivamente scomparsi dalla scena, lasciando il posto alle scimmie. Una scelta che avrebbe rivoluzionato il franchise, prontamente smentita dalla comparsa di una presenza umana, sia pure all’inizio solo suggerita, senza essere mostrata chiaramente. Una scelta azzeccata.
Ma lentamente la storia si riporta sul registro classico della saga, proponendo le solite problematiche relative allo scontro uomo-scimmia, metafora delle tensioni razziste della società contemporanea, e gli ancor più soliti scontri tra le sotto-culture scimmiesche, le cui espressioni più estreme non sono altro che la ripetizione dei megalomani deliri di grandezza tipici dell’homo sapiens, in versione quadrumane.
Deliri che nel film trovano la massima espressione in Proximus Caesar, scimmione che sogna di ampliare il suo regno, costruito schiavizzando i suoi simili, grazie ai tesori tecnologici contenuti in una vecchia base militare umana, nella quale cerca disperatamente di entrare, anche se dispone solo di strumenti rudimentali.
Da questo punto di vista Il Regno del Pianeta delle Scimmie propone l’ancora più classico scontro natura-cultura, all’ombra del quale Noa descrive il suo bell’arco narrativo, partendo dalla sua società natale, tribale e agreste, passando per le rovine delle città umane ormai conquistate dalla vegetazione lussureggiante, mentre la resa dei conti con le forze del male avviene nel vecchio rifugio umano fortificato, pieno zeppo (anche) di armi, contese tra scimmie e homo sapiens.
Detta in altri termini, la vetta della catena alimentare è contesa da specie differenti, ma la sete di potere – e l’assoluta imbecillità a essa correlata - è sempre la stessa.
Insomma, tutte cose già viste e riviste.
Tuttavia il film si fa guardare molto volentieri.
In primo luogo è molto apprezzabile la tensione che si palpa lungo tutto il racconto, perché lo spettatore capisce chiaramente che c’è qualcosa di non ancora mostrato che si aggira nel fuori campo, a cominciare dalla misteriosa presenza umana delle prime scene.
In secondo luogo la storia, mostrata prevalentemente in esterni, è visivamente fantastica, e non si può non apprezzare l’espressività delle scimmie, capaci di trasmettere una vasta gamma di emozioni, che nulla hanno da invidiare ai pochissimi personaggi umani mostrati.
Inoltre il racconto è molto ben congegnato e – diciamolo chiaramente – i temi trattati, per quanto triti e ritriti, se mostrati in modo accattivante fanno sempre presa.
Quando vediamo Proximus Caesar appropriarsi dell’immagine e del nome della figura mitica di Cesare, e distorcere le sue nobili leggi per scopi biecamente personali, in realtà stiamo guardando l’eterno problema tipicamente umano di avere una classe dirigente intenta a difendere i propri privilegi, e non l’interesse della collettività.
E quando vediamo all’interno della vecchia base militare umana righe di carri armati Abrams pronti all’uso, ammassati da una umanità morente in uno dei suoi ultimi rifugi, non possiamo non pensare all’imbecillità di fondo della nostra specie, che all’alba del terzo millennio si balocca ancora con guerre che nel loro insieme potrebbero sfociare in un nuovo conflitto mondiale, dimostrando per l’ennesima volta la divergenza tra le vette raggiunte dal pensiero scientifico e la mancanza di etica nell’utilizzare questa preziosa risorsa.
E, si sa, la fantascienza ha sempre proposto mondi alterativi che in definitiva sono solo una metafora dei problemi irrisolti nella nostra società… che a quanto pare sono sempre gli stessi, quelli del lontano 1968, anno di uscita del primo film di questa saga, in piena guerra fredda.
Bel film. Da vedere. Al cinema.