Mahito è un ragazzino che perde sua mamma nell’incendio di un ospedale a Tokyo, durante la seconda guerra mondiale. Suo padre si risposa con la sorella di sua moglie, e si sposta in campagna assieme alla famiglia, nei pressi di una fabbrica di aerei che dirige.
Mahito non ha ancora superato il trauma della perdita della madre, fa fatica a inserirsi nel nuovo ambiente, viene bullizzato dai compagni di classe e, ciliegina sulla torta, la sua matrigna è incinta, per cui deve dividere sempre più le attenzioni del padre con la matrigna.
Compare ben presto uno strano airone cinerino parlante, che sostiene che la madre di Mahito in realtà non è morta, invitando il giovane protagonista a seguirlo per scoprire dove si sia ritirata a vivere.
Nei pressi della nuova dimora sorge una strana torre, a quanto pare edificata da un lontano parente scomparso in circostanze misteriose, il cui accesso è rigorosamente vietato.
Ovvio che il divieto viene ignorato e Mahito comincia il suo viaggio dell’eroe…
Il Ragazzo e l’Airone: il testamento di Hayao Miyazaki
Un viaggio dell’eroe che può essere visto sia come l’elaborazione del lutto della scomparsa della madre sia come un rito di passaggio verso il mondo degli adulti, vissuto come un superamento di prove successive, affrontando i demoni del proprio inconscio, per rinascere alla fine come un nuovo individuo.
Ma nessuno dei personaggi che Mahito incontra nel suo cammino nel mondo fantastico che attraversa, che si dischiude dopo essere entrato nella torre proibita, può essere semplicisticamente etichettato come buono o come cattivo.
Come è sempre accaduto nei film di Miyazaki, entrambi i lati coesistono, e i personaggi interpretano diversi ruoli, se vogliamo analizzare il film secondo i canoni del Viaggio dell’Eroe di Vogler.
Lo stesso airone cinerino è sia un messaggero, che un guardiano della soglia, che un aiutante del nostro giovane eroe, dimostrandosi estremamente flessibile nel suo modus operandi, e se all’inizio della storia sembra essere un’entità dai poteri soprannaturali, alla fine è più affine a un povero Cristo che si barcamena per sopravvivere in un mondo tutto sommato a lui ostile, e nel quale deve interpretare un ruolo da comparsa, per non dire da servo.
La storia vede spesso in azione insiemi di animali, che spingono il protagonista a superare soglie suo malgrado, che possono essere visti come le forze dell’inconscio che costringono Mahito a compiere azioni che razionalmente non avrebbe mai scelto di fare.
Insomma, apparentemente tutte cose già viste e riviste nella filmografia di Miyazaki, narrate con il consueto e splendido immaginario visivo, affascinante e coinvolgente.
Con un elemento in più, riassumibile con la domanda “E voi come vivrete?”, che il giovane e spaesato protagonista legge nel diario della sua scomparsa madre, appena ritrovato nella sua nuova residenza di campagna.
Un domanda che rimane aperta, così come rimane indeterminato e aperto il finale del racconto, che allude alla complessità della vita reale, all’universalità degli archetipi presenti nelle storie e alla difficoltà di stabilire linee precise di demarcazione tra bene e male.
Un finale che magari può lasciare perplesso chi ama racconti dai contorni più netti, ma che forse era una scelta obbligata per quello che può essere visto come il testamento artistico di Miyazaki, che ci lancia un ultimo interrogativo esistenziale, al quale non ha voluto dare risposta: “E voi come vivrete?”.
Da vedere. Al cinema.