Il Primo Giorno della mia Vita: recensione del film di Paolo Genovese

Paolo Genovese affronta il tema del suicidio con un film senza mordente, trattando tematiche molto impegnative in modo patinato e superficiale.

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Il Primo Giorno della mia Vita: recensione del film di Paolo Genovese

Arianna (Margherita Buy) è una poliziotta incapace di superare il dramma della morte della sua figlia adolescente, Emilia (Sara Serraiocco) è una giovane ginnasta rimasta costretta in sedia a rotelle da un incidente, Napoleone (Valerio Mastandrea) è una sorta di guru esperto nel motivare gli altri, afflitto però da depressione cronica, Daniele (Gabriele Cristini) è un giovanissimo youtuber in sovrappeso, perseguitato dai bulli e sfruttato dai genitori.

Tutti e quattro hanno deciso di porre fine alle loro vite, ma grazie a un uomo misterioso (Toni Servillo) gli è stata concessa una seconda possibilità, dando loro una settimana di tempo per riconsiderare la loro decisione.

Il quintetto si ritrova a vivere in una sorta di limbo, dove gli aspiranti suicidi possono muoversi in mezzo agli esseri umani, ma senza essere visti, né potere bere o mangiare. L’uomo misterioso li guida in una serie di esperienze che dovrebbero fare loro tornare la voglia di vivere, vissute prevalentemente in non-luoghi deserti, immersi nell’ambiente urbano.

Il Primo Giorno della mia Vita: un idea interessante che si è tradotta in un film senza mordente

Paolo Genovese ha affrontato un tema scottante e impegnativo, quello del suicidio. I quattro casi rappresentati nella pellicola mettono in scena un ampio ventaglio di motivazioni che possono portare un essere umano a compiere l’insano e irreversibile gesto.

Facile quindi che qualcuna delle situazioni narrate possa fare vibrare qualche corda nello spettatore, regalando momenti di forte emozione.

Tuttavia i vari personaggi, e le loro problematiche interiori, vengono mostrati in modo abbastanza superficiale, per alcuni aspetti quasi stereotipato. Il risultato è un film che all’inizio è molto coinvolgente, grazie anche all’insolita situazione rappresentata, ma poi perde gradualmente mordente.

E questo nonostante l’ottima prova fornita dal cast stellare utilizzato da questa pellicola. Gli attori hanno fatto tutto quello che potevano per rendere interessanti i loro personaggi, il problema è nella struttura della storia e nei dialoghi, a tratti troppo didascalici e scontati.

L’idea complessiva che lascia il film è che Genovese abbia fatto il suo bel compitino, senza forzare mai la mano, né nella sceneggiatura ancora meno nelle scelte più propriamente registiche.

Anche la fotografia, molto scolorita e diafana, probabilmente pensata per trasmettere l’idea di un “mondo di mezzo” nel quale si trovano momentaneamente imprigionatati i personaggi, contribuisce a lasciare un immagine patinata di una realtà che invece dovrebbe essere ben più drammatica e disorientante.

Rimane indefinita anche la struttura dell’oltretomba dalla quale (presumibilmente) proviene il personaggio misterioso interpretato da Toni Servillo, che ha dei super-poteri, conferitigli da non si sa chi.

La cosa non sarebbe di per sé un problema, anzi, ma conferma la caratteristica di fondo del film: l’incapacità di prendere posizioni forti, trattando temi estremamente complessi e drammatici in maniera superficiale e patinata.

Insomma la storia narrata, pur finemente cesellata da una sceneggiatura minuziosa, ricca di dialoghi, diversificata in molteplici ambientazioni urbane, proprio non riesce a lasciare un segno profondo, sotto molteplici punti di vista.

Peccato.