Napoli. Il 5 ottobre 2025, al teatro Nest, “in secca” lo spettacolo nato da un progetto nazionale: “Cantanti”. Non potevamo non vederlo nella sua versione definitiva, andato in scena con Giuseppe Brunetti e Luigi Bignone. Sarà suggestione, sarà la forza scenica dei due interpreti, ma la somiglianza con i fratelli Brusca è singolare e paradossale allo tesso tempo. I due personaggi che incarnano il male, il dolore, sono presentati dalla regia di Carlo Geltrude, in modo sottile, senza condanne: si usano pause, luci, parole e simboli al momento giusto. I fratelli Brusca, tristemente famosi come “scannacristiani”, ci vengono restituiti in un racconto che attinge da atti processuali, deposizioni, atti giudiziari trovati con la collaborazione di Roberto Saviano, Roberta Cafiero e Giuseppe Vigolo. È Argot Produzioni a sostenere la drammaturgia di Mario Gelardi, direttore artistico del Nuovo Teatro Sanità, da sempre impegnato nel teatro civile. La rappresentazione mette in scena cosa è accaduto per effetti della legge sui “pentiti” del 15 marzo 1991, una pagina cruda e imprescindibile della storia dell’Italia degli anni’80. Il focus è sulla fase in cui lo Stato iniziava a capire come agiva Cosa Nostra, grazie alle coraggiose e drammatiche testimonianze dei collaboratori di giustizia. Ex “uomini d’onore” che, rompendo il muro dell’omertà, rivelarono crimini spietati e confessarono come, quando e dove, un essere umano può concretamente sciogliere un bambino nell’acido. Tanto per dirne una. Napoli Est Teatro, è una realtà che si erge su una scuola di San Giovanni a Teduccio, non a caso lo scorso anno ha vinto il premio della critica come “miglior progetto teatrale sul territorio”; la saletta ha ospitato lo spettacolo diretto da Carlo Geltrude, già inserito come anteprima della stagione 2024/2025 del Nest, nell’ambito della rassegna OVER / Emergenze teatrali, pensata per dare spazio ad artisti emergenti e progetti innovativi.
Dal momento che i due mafiosi cooperarono con la giustizia, l’atrocità delle loro confessioni vengono cantate. Con musiche inedite e fatti reali, la delicatezza di questo espediente è vincente, si resta sospesi, a tratti incapaci di applaudire di fronte alla forza della verità. L’umanità, i ritmi del pensiero e la bellezza interiore che emerge dai due attori, è già in sé una redenzione, una richiesta sottesa di perdono. Il titolo stesso del progetto è un destino registico: "cantare", nel gergo mafioso, significa tradire il silenzio dell’omertà. Il verbo ha un'origine antica legata al suono vocale, al lamento, a quel grido che sentiamo dentro quando siamo pentiti e complici di una realtà abbominevole. La regia di Geltrude tra gag e lazzi, ce li rende persino simpatici i due personaggi figliocci di Riina, li mostra fantocci dentro il meccanismo in cui i due fratelli erano impigliati da sempre. Non si può scegliere da che parte del mondo nascere, ma si può capire da che parte è giusto stare. La loro coscienza non la vediamo, la immaginiamo, la sentiamo sotto la pelle dagli sguardi profondi di Luigi Bignone che mai riesce a guardare il pubblico negli occhi, nascosto dal pudore della sua chitarra, tiene inchiodati i presenti in un’eco profondo tra passato e presente.
È il senso del teatro civile. “Cantanti” è uno spettacolo che non si dimentica, si sorride spesso, ma ci si difende, e restano le mani sospese a mezz’aria, indecisi se applaudire all’arte o restare immobili di fronte a ricordi scomodi.
Corrispondente da Napoli Anita Laudando