Godzilla Minus one: recensione del film di Takashi Yamazaki

Un ottimo reboot antimilitarista rispettoso dell'immaginario visivo del mitico mostro, che sarà probabilmente amato dagli amanti del genere Kaiju

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Godzilla Minus one: recensione del film di Takashi Yamazaki

Koichi Shikishima (Ryunosuke Kamiki) è un pilota kamikaze giapponese che scappa dal campo di battaglia, simulando un guasto al suo aereo da combattimento per sottrarsi alla sua missione suicida.

Atterra quindi sull’isola di Odo, dove c’è un centro di riparazione di velivoli, ma che è anche la terra natale di Godzilla, che compare nottetempo seminando morte e distruzione nel piccolo presidio militare.

Koichi riesce ancora una volta a sopravvivere, sottraendosi al combattimento con la mostruosa creatura, mentre i suoi compagni d'armi vengono spazzati via armi in pugno.

Ritorna in patria, dove deve sopravvivere al disonore di essere sopravvissuto alla guerra, ma trova conforto nell’incontro con una giovane donna, Noriko Oishi (Minami Hamabe), che è sopravvissuta ai devastanti bombardamenti statunitensi, portando anche in salvo una bambina orfana in fasce.

Koichi e Noriko formano una famiglia molto sui generis, specie per gli standard giapponesi dell’epoca, e lui trova ben presto una occupazione ben retribuita, ma molto rischiosa: sminare le acque metropolitane giapponesi.

In una missione si ritrova faccia a faccia con Godzilla, nel frattempo diventato di dimensioni enormi a causa degli esperimenti atomici statunitensi nel Pacifico...

Minami Hamabe in Godzilla Minus One

Godzilla Minus one: un ottimo reboot in chiave antimilitarista

Nel film scorrono parallele due storie: le vicende di Koichi e Noriko, da una parte, e quelle legate alla presenza del mostro, dall’altra. Le due vicende si incontrano spesso nel racconto, che tuttavia ha una dimensione umana e pacifista sconosciute al primo Godzilla, del 1954.

In effetti in questa pellicola il protagonista non è l’immenso dinosauro preistorico, ma il giovane Koichi, che ritorna dalla guerra con lo stigma sociale di essere un kamizaze sopravvissuto al suo dovere di soldato, un uomo “che non dovrebbe essere vivo”, secondo le sue stesse parole.

E comincia il suo lungo e travagliato arco narrativo, nel quale il conflitto con Godzilla fornisce l’opportunità di rimettere in discussione il suo modo di pensare, di vivere e di combattere, uscendone vincente e rinnovato, come si conviene a ogni protagonista nel suo viaggio dell’eroe.

Aiutato, in questa sua trasformazione, da Noriko, secondo cui “tutti quelli che sono sopravvissuti alla guerra devono vivere”.

In definitiva Takashi Yamazaki ha fatto un gran bel lavoro di riappropriazione culturale, mantenendosi anche rispettoso nei confronti dell’immaginario visivo dei primi film di Godzilla, proponendo una versione del mostro che tiene conto della goffaggine delle sue prime versioni cinematografiche, operazione che sarà gradita agli amanti del genere Kaiju, come è il sottoscritto.

Tuttavia in Godzilla Minus One le epiche battaglie tra masse di carri armati, aerei e artiglieria da una parte, e Godzilla dall’altra, sono solo accennate, mentre potremo goderci il tentativo da parte di navi disarmate, manovrate da ex-militari di fatto civili, che cercano di mettere fuori combattimento il mostro con metodi, per così dire, alternativi, fino allo scontro finale catartico, che vede assoluto protagonista il nostro Koichi.

Insomma tutta la dimensione militaresca ed epica viene di fatto spazzata via, sostituita da una sorta di volere civico collettivo che vede la maggior parte dei cittadini cooperare per arginate la minaccia, mentre le autorità rimangono sullo sfondo, preoccupate di non disturbare Stati Uniti e Russia, superpotenze impegnate nei primi confronti della Guerra Fredda.

Certo, dal punto di vista storico la cosa può fare sorridere, ma il film nel suo complesso funziona benissimo, e guardarlo è un vero piacere, anche perché stiamo parlando di fiction, fatta con passione e mestiere.

Una dimostrazione di come si possa tranquillamente giocare con le regole dei generi e le aspettative degli spettatori, a patto che si sappia come scrivere una storia e rappresentarla cinematograficamente, cosa che a quanto pare (tanto per fare un esempio) Ridley Scott non sa più fare, come ha dimostrato con il suo recente e patetico Napoleon.

In quest'ultimo caso si è cercato di cambiare completamente la prospettiva dalla quale mostrare un personaggio storico – Napoleone – del quale il cinema ci aveva già regalato un immaginario pluridecennale, prevalentemente centrato sulla figura del grande condottiero e delle battaglie da lui combattute.

Ma mentre Ridely Scott ha assemblato una storia sconclusionata e per alcuni aspetti risibile, Takashi Yamazaki ha giocato con l’immaginario visivo già consolidato da decenni di  Kaiju per regalarci una sua rilettura del genere fatta con mestiere e passione, reinventando la società giapponese del secondo dopoguerra per alludere a un suo futuro diverso, più orientato a valori umani, e meno alle logiche del sacrificio e alla cultura del Samurai.

Operazione a mio avviso perfettamente riuscita.

Un film da vedere, specie per gli amanti del genere Kaiju. Al cinema.