Palazzo Cavanis, affacciato sul canale della Giudecca, ospita fino al primo dicembre la mostra personale di Genieve Figgis, Unearthly Pursuits.
Con questo progetto presentato da Almine Rech e curato da Elisa De Wyngaert, l’artista vuole esplorare il modo con cui le persone si rapportano al loro ambiente, mettendo in mostra l’adesione alle regole sociali che però nasconde una volontà di eluderle.
Ed è proprio questo mondo nascosto che Genieve Figgis si propone di indagare, quello delle volontà represse e delle passioni nascoste che però emerge indipendentemente dalla volontà degli attori che agiscono nel loro contesto. Così, in un’ambientazione che richiama il passato, senza tecnologia e a metà tra il reale e l’immaginario, vediamo qualcosa che sembra stonare con gli idillici paesaggi che fanno da sfondo: le persone, infatti, seppure ben vestite e misurate nei comportamenti hanno i volti deformati, come se la maschera sociale che sono costrette a portare si stesse dissolvendo assieme alla pittura stessa.
Non a caso l’artista nella sua volontà di indagine si è affidata alla pittura, alla sua fluidità e alla sua libertà: scorrendo sulla tela permette di rivelare le cose più irrazionali, superando qualsiasi confine le si ponga davanti. La pittura qui dissolve l’apparenza per rivelare, in maniera inquietante, la realtà delle cose.
Le persone rappresentate, se da una parte sono consapevoli di essere osservate e fanno di tutto per conformarsi alle aspettative degli osservatori, dall’altra vengono tradite dalla pittura stessa. Ispirandosi ai ritratti su commissione Genieve Figgis li supera, portando davanti allo spettatore non un semplice richiamo all’individualità della persona ritratta, ma la sua individualità stessa. Questo salto tra la realtà esterna (della società della persona ritratta e dello spettatore dell’opera) e quella interna porta ad una sensazione di inquietudine, espressa attraverso la smaterializzazione della figura.
In molte opere vediamo i palazzi, la laguna e le barche ritratti in maniera decisa, decisione che si dissolve man mano che ci si avvicina alla figura. In Trip to Venice la serenità e l’armonia dei palazzi veneziani sfocia in una macchia senza forma dai colori macabri, dove si riconosce a malapena il contorno di una figura. Lo stesso vale per Lady at the window, dove il tavolo della stanza perde consistenza appena entra in contatto con la figura che pare uno spettro, quasi venga assorbito anche esso dal dissolvimento della forzatura sociale.
È evidente che sono rappresentate a Palazzo Cavanis le diverse manifestazioni dell’instabilità e dell’incertezza derivanti dal dissolvimento della maschera. Una volta private delle loro pose studiate e dei loro sorrisi di convenienza le persone ritratte non riescono a rappresentarsi in maniera certa, diventando chiazze di colore che cercano di definirsi. Ma forse è proprio questa possibilità infinita di ricrearsi, una volta caduta l’immobilità di un’essenza predefinita, che Genieve Figgis celebra con le sue opere. Così, l’inquietudine che proviamo davanti alle gelide figure in blu di Actors in blue, non è altro che la nostra volontà di aspettare che quei volti si dissolvano completamente, rivelando la verità che sta dietro di loro e di noi stessi.
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