Lo sguardo assiduo e perspicace di un osservatore cólto e sensibile
È noto quel passo delle Pensées in cui Blaise Pascal (1623-1662)dettò un’illuminante definizione dell’uomo, a suo parere debole e forte al tempo stesso: incerto e vacillante come una “canna”, in balìa dei tanti soffî del vento, e tuttavia stabile e vigoroso in ragione delle sue capacità critico-empiriche e teorico-conoscitive, delle sue doti preziose di essere “pensante”.
Ritengo che tale spunto riflessivo debba essere accostato a un altro celebre luogo della medesima opera, ove il grande moralista e matematico francese esprimeva tutto lo smarrimento che lo prendeva, allorché considerava la sua solitudine di individuo collocato in una determinata, specifica posizione intellettuale-morale, in una precisa condizione esistenziale, peculiare e limitata, entro un universo spazio-temporale dalle illimitate possibilità. Anche nelle pagine della parte seconda del diario filosofico-scientifico di Gabriele Centorame, impegnativamente intitolato Il Niente e recentemente pubblicato dall’Editore Guido Miano, è viva la preoccupazione di porre in risalto i “limiti”, e quindi le insufficienze, la precarietà, la sostanziale illusorietà della complessiva vicenda vitale-naturale e segnatamente storico-umana, inesorabilmente condannata dal nesso dinamico “materia-antimateria” a un niente primordiale, basico perché esso appare la risultante obbligata del “movimento” stesso della realtà fisica: “Viviamo per un tempo che a dir poco è insignificante. Niente eravamo e niente saremo. Quindi la vita in senso lato è inesistente. Per poco tempo è reale. È però reale in un tempo così sfuggente da apparire senza alcun dubbio illusoria (…) Pochi sono i momenti di felicità e molti quelli in cui appaiono le percezioni di un mondo tutto sommato assurdo e inutile e quindi poco interessante” (p.13). Il diario è un giornale puramente concettuale, ricco di informazione e scandito da annotazioni acute nella loro complessità e da approfondimenti speculativi e scientifici svolti in un dialogo serrato con le fonti più prestigiose – da Dante a Leopardi, da Socrate, Platone, Aristotele fino a Kant, Hegel, Freud, Heidegger, da Pitagora a Marie Curie ad Albert Einstein per giungere a Carlo Rubbia - , in un contesto cultural-problematico dei cui contenuti non è possibile dare conto in un intervento recensorio dalle finalità necessariamente soltanto orientative, stante inoltre la notevole varietà della trattazione, che non disdegna altresì incursioni nella cronaca contemporanea e sa aprirsi a divagazioni descrittive di questo genere: “Il sole sorge all’orizzonte in un cielo sereno, azzurro con raggi colorati di giallo-oro. La giornata è bella fin dal primo mattino e i cuori si riscaldano dopo alcuni momenti di grigiore e di tristezza” (p.25).
Preme comunque sottolineare la distinzione, sottile ma apprezzabile da un punto di vista teoretico e assiologico, fra nientee nulla; giova al proposito dare direttamente la parola all’autore: “Quando facciamo riferimento al niente si vuole mettere in evidenza che l’essenza unica del tutto è proprio niente, concreto, astratto e somma delle parti. Da non confondere con il nulla, concetto astratto in contrapposizione all’essere, anch’esso astratto (…) Il niente non è un’idea, è niente e basta. Qui coincidono tutte le cose, l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande: è tutto e non è niente” (p.134, corsivi miei).
Detto altrimenti, se il nulla è un’idea-valore negativa rivolta al progressivo depotenziamento, all’aggressione nichilisticamente distruttiva dei modelli ideali e degli abiti di condotta generalmente accolti in quanto considerati positivi, affermare il niente significa rilevare lo stato di fondo dell’ordine delle cose naturali e sociali, a partire dal quale viene precisandosi l’elaborazione etico-culturale delle “menti associate” (per servirci della bella espressione di Carlo Cattaneo): queste ultime operano indubbiamente in situazioni provvisorie e transeunti, nondimeno il quadro interpretativo appena accennato comporta al più la loro relativizzazione, non certo l’invalidazione o addirittura l’inconsistenza: “In altre parole, la mia concezione di un assoluto inesistente non implica la rinuncia all’esistenza, semmai proprio il contrario, cioè l’attaccamento ancora più forte a quello che abbiamo per una necessaria sicurezza e una maggiore tranquillità” (pp.66-67), anche perché “(dobbiamo essere) obiettivi, non c’è da inveire sul mondo naturale in sé. La natura fa quello che deve fare. É sempre rigogliosa a creare e potenziare la vita”(p.67).
Dell’impegno elaborativo degli uomini sono parti essenziali l’arte(ad esempio la poesia di Dante, al quale Centorame tributa un omaggio commosso: “La Divina Commedia di Dante è grande ed armonica nelle sue parti…Per scrivere tanti canti e tutti in modo preciso a livello formale non basta l’impegno costante ci vogliono anche bravura, competenza e cultura. Rispetto a lui gli altri scrittori sono come tanti pivellini. Questi si possono distinguere per profondità di contenuti, ma Dante è grande in tutto. Se non il massimo sicuramente uno dei massimi del mondo”, p.35), la riflessione etica (con il correlativo rifiuto della violenza e di ogni forma di egoismo individualistico e sopraffattorio (“(Viviamo) in un mondo dominato dai soldi, dall’interesse personale e dall’appiattimento generale sotto l’aspetto etico, religioso e giuridico. Nei casi peggiori siamo travolti da eccessivo individualismo e dalla corruzione, non per aiutare, ma per danneggiare il prossimo”, p.72), la ricerca scientifica. Risulta pertanto conseguente l’elogio schietto ed esplicito dei principî profondamente innovativi, dell’autentica portata rivoluzionaria nel campo della morale e della civiltà dell’Annunzio del Cristo: “Il Cristianesimo e il Nuovo Testamento hanno affermato e divulgato l’amore universale e il rispetto di qualsiasi essere umano. Dio generando il figlio in una donna ha posto un punto fermo, cementato appunto dall’Assoluto, nella nostra anima: amare l’altro. Per duemila anni l’amore senza scopi specifici, ma per un fine universale si è fatto strada superando ed annullando pregiudizi connessi allo schiavismo, alla differenza sociale e al rifiuto del più debole” (p.53).
Floriano Romboli