La fotografia come linguaggio di rappresentazione e di riscatto per un contesto sociale e umano altrimenti emarginato da qualsiasi raffigurazione non paternalistica: classe 1907, nativo di Padova e friulano di adozione, scomparso nel 1976 a Savorgnano di San Vito al Tagliamento, Italo Michieli è stato artista a tutto tondo fra pittura e rappresentazione fotografica, concretizzando pienamente, in forma di immagine, quella “meglio gioventù” che Pasolini andava delineando in poesia e in prosa, fra il 1954, quando uscì l’omonima raccolta poetica, e il 1962, quando fu pubblicato il romanzo “Il sogno di una cosa”. Lo testimonia efficacemente il nuovo omaggio espositivo “Italo Michieli fotografo. L’altra Meglio Gioventù. Il ritratto collettivo di un paese di temporali e di primule” che si inaugura sabato 15 aprile, alle 17.30 alla Galleria Sagittaria di Pordenone, dove resterà visitabile fino al primo giugno. Curato da Angelo Bertani per il coordinamento della presidente CICP Maria Francesca Vassallo, promosso dal Centro Iniziative Culturali Pordenone in sinergia con il Comune di San Vito al Tagliamento e il CRAF Spilimbergo – dov’è custodito l’archivio fotografico di Italo Michieli, ricco di oltre 8mila scatti – il percorso espositivo di Pordenone resterà visitabile fino al primo giugno, offrendo ai visitatori una selezione di100 fotografie realizzate da Italo Michieli dagli anni ’50 agli anni ‘70, occhi negli occhi con le comunità contadine di Savorgnano, Bagnarola, Sesto al Reghena, Ramuscello Opere di valore insieme artistico e antropologico, specchio sincero ed emozionante del clima culturale pasoliniano che Michieli aveva ricercato e assaporato avvicinandosi al poeta di Casarsa, che nel 1947 aveva recensito una mostra sanvitese di pittura in cui erano esposti anche alcuni suoi quadri. È questa la 488a mostra d’arte della Galleria Sagittaria, visitabile con ingresso gratuito da lunedì a sabato in orario 9/19, con possibilità di visite fuori orario inviando mail a [email protected] Catalogo in galleria, chiuso 24, 25 aprile e 1 maggio, informazioni www.centroculturapordenone.it
«Tante immagini in bianco e nero del passato – osserva Maria Francesca Vassallo - per rivivere oggi un territorio, quello del sanvitese, in tutta la sua ricchezza di storie e persone. È lì che ci porta Italo Michieli, tra i suoi paesi che sfumano verso la campagna. Su strade sterrate, terra e ghiaia, fitto acciottolato e muri scrostati, fino all’orto e al cortile, un microcosmo, concentrato di vita per le necessità quotidiane».
«Italo Michieli, la sua figura, le sue opere, rappresentano per San Vito al Tagliamento un patrimonio prezioso – conferma il sindaco Alberto Bernava - Non soltanto perché, da fotografo, ha documentato in modo unico la nostra società e i suoi cambiamenti per oltre tre decenni, ma anche e soprattutto per la sua cifra artistica, che fa dell’oggettività e di un realismo fotografico straordinario una vera e propria caratteristica distintiva.
Aggiunge il curatore della mostra, Angelo Bertani: «se è ben noto che Michieli pittore ha come modelli di riferimento di volta in volta Modigliani o Cézanne - tanto che le vedute dell’antico complesso abbaziale di Sesto al Reghena o addirittura la chiesetta campestre di Santa Petronilla sono le sue Sainte-Victoire - è pur vero che in fotografia dimostra conoscenze aggiornate su un repertorio internazionale, a volte interconnesse con le esperienze italiane del neorealismo cinematografico. Tuttavia Italo Michieli non è un replicante, non è un seguace di maniera, ha una personalità autonoma che gli permette, pur sotto l’influsso di determinati modelli culturali, di elaborare una propria concezione originale della fotografia. La mostra alla Galleria Sagittaria è incentrata sui ritratti, ovvero sul rapporto tra maschera sociale e volto, tema centrale nelle intenzioni di Michieli quando fotografava soprattutto per sé, secondo una chiara ricerca di autenticità, avendo ben presente che proprio nel volto poteva trovare traccia di vita reale. Quella di Michieli fotografo è stata innanzi tutto una ricerca di verità, prima ancora che di forma estetica, e l’essenzialità antiretorica è stata il fondamento del suo metodo». E il direttore del CRAF, Italo Rampini, sottolinea che «Italo Michieli, nonostante la sua condizione di artista spesso incompreso, in vita e per molti anni dopo la morte, è stato un pittore e un narratore, in prosa e versi, di riconosciuto e indiscutibile talento. Una figura riconoscibile nella vita di provincia, basata sulla perifericità e l’isolamento culturale, che ha saputo scavalcare l’inevitabile marginalità attraverso una pratica, quella di fotografo, che, per quanto apparentemente declinata al riparo dall’enfasi del linguaggio artistico codificato, finisce per risultare quella più poetica in assoluto, attraverso la sua capacità di cogliere lo spirito del tempo in modo naturale e diretto, e di conservarlo a futura emozionale memoria. La riscoperta tardiva del lavoro di questo professionista è avvenuta anche per merito dell’associazione culturale “Italo Michieli” e in particolare al lavoro di Loris Driusso (presidente) e Nevio Martinuzzi, che dopo la sua morte si è trovata a gestire un patrimonio fotografico importante. Fu in particolare Giancarlo Pauletto, che nei primi anni Ottanta ebbe modo di visionare la massa disordinata di negativi e stampe, ad accorgersi per primo dell’importanza di quel patrimonio».
ITALO MICHIELI (Padova, 1907 – Savorgnano di San Vito al Tagliamento, 1976) Nato a Padova da genitori friulani, si diplomò nel 1922 all’Istituto Tecnico Belzoni della stessa città. Dopo la morte del padre, ispettore ferroviario, nel 1934 si trasferì con la madre a Trieste e in seguito, nel 1939, a Pordenone dove trovò impiego nelle Ferrovie. Nella città del Noncello conobbe lo scultore Ado Furlan il quale lo incoraggiò e sostenne nella sua attività artistica. In pittura Michieli si dimostrò da subito attento alla lezione di Sironi, di Modigliani e poi di Cézanne e di Morandi, ma durante il suo soggiorno triestino si era avvicinato anche alla fotografia internazionale di ambito costruttivista, raggiungendo risultati notevoli. Trasferitosi prima a San Vito al Tagliamento e poi dal 1953 nella frazione di Savorgnano, grazie all’amicizia con il pittore Federico De Rocco entrò in contatto con Pier Paolo Pasolini, da cui fu profondamente influenzato. Per un breve periodo a San Vito fu anche segretario del Fronte Popolare. Nell’ambito pittorico Michieli predilesse i ritratti delle persone semplici che egli incontrava nella vita di paese, ma si dedicò anche con assiduità alle vedute paesaggistiche della campagna circostante, rappresentata, con sensibilità cézanniana e postimpressionista, nel variare delle stagioni e della luce del giorno. La fotografia su commissione era certamente per lui un mezzo di sostentamento e però egli non trascurò mai, sulla base delle sue esperienze precedenti, padovane e triestine, di elaborare anche una propria visione della realtà in cui viveva: fu così che egli costituì negli anni una sorta di piccolo catalogo della società paesana del tempo, rappresentata in un ritratto collettivo composto da tanti ritratti individuali. Nelle sue fotografie prese davvero forma di immagine la “meglio gioventù” pasoliniana, considerata senza retorica. Dai primi anni ’60 documentò, talvolta con velata ironia, l’evoluzione di quella stessa generazione verso una nuova condizione di benessere. Morì in solitudine a Savorgnano di San Vito al Tagliamento il 16 ottobre 1976.
E.L.