È uscito il libro: ABIES ALBA E ALTRE POESIE di ESTER FRANZIL

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È uscito il libro: ABIES ALBA E ALTRE POESIE di ESTER FRANZIL

Mi pare che nella concezione di Ester Franzil sia fondamentale l’idea che la realtà risulta percorsa da un insopprimibile dinamismo vitale, animata da costanti impulsi energetici, che conquistano l’animo umano in forza della loro suggestiva intensità.

Ne consegue un’attenzione metodica ai molti tratti dell’ordine esterno delle cose, agli innumerevoli “microcosmi” che lo costituiscono, in una disposizione conoscitiva da cui origina una tecnica formale-stilistica estremamente essenziale, franta e brachilogica nella sua incisività nominale: «Occidentale specchio/ di Narciso mito/ pregnante metafora/ scoperta della propria identità/ riflessa immagine clonata/ rovesciato io…/ Orientale specchio:/ soglia. Sottile membrana/ ombra di elementi divini/ cosmica religiosa simbologia/ magia/ del nulla metafora/ avventura oltre la soglia/ apparente verità/ soglia di un mondo incognito/ visibile-invisibile…» (Specchio);  «Il tuo corpo dal mare/ alla di Sebeto foce affidato./ Incanto e morte/ innocente vittima/ salvata vergine./ Esanime generatrice di/ città di tormento-estasi./ Altamalinconia di/ gioiosa affascinante vita» (Parthenope).

Il ricorso a determinati procedimenti ritmici come l’enjambement o a figure retoriche come l’ossimoro, messo in risalto alla fine dell’ultima citazione, conferisce al discorso poetico un’interessante concentrazione, rafforzata dalla predilezione, anche nelle parti descrittive, di una sintassi organizzata paratatticamente, e  resa elaborata e complessa dall’anastrofe: «Graniti rosa arrotondati e/ lisciati da distratte carezze del vento/ d’impossibile rosso s’incendiano» (Stupore).

È il caso inoltre di segnalare che la specificità cromatica è dettata da un intento antropomorfo, dallo spunto umanizzante palese nel componimento incipitario: «Inargentate trine/ di resinosi fili/ da rughe possente/ tronco squarciato/ a grumi, a gocce/ lucente pianto/ fra perle di lacrime/ sgorga incontenibile/ contemplante sorriso/ gigante buono/ da impietoso fulmine schiantato» (Abies alba), preludio al felice manifestarsi della nota sentimentale, al lento enuclearsi dell’ “io” lirico: «Si culla il mare/ danza coi raggi sulle onde/ il respiro trattiene/ Vorrei…/ sui flutti dell’oceano riposarmi/ nelle amorose braccia del vento cullarmi» (Anelito).

Preme sottolineare, nell’àmbito di un siffatto sistema linguistico-espressivo, la funzione traente, l’autentica efficacia strutturante della metafora, decisiva ai fini della precisazione del significato complessivo dei testi: «Isola, cosmo in miniatura/ gioiello acquatico dal creatore incastonato/ col canto dei salmi/ il mormorio dell’onde danza.// La gioia, il paradiso/ è dono da scoprire, accogliere, custodire/ cullare in vergine isola/ celata in fondo al cuore» (Isola); «Paesaggio-presagio (…) Sofferenza, olocausto, preghiera/ morte, vita…/ rassicurante abbraccio/ d’autunnali caldi colori/ in pennellate d’ocra accesi/ chicco di grano sacrificato/ in sfolgoranti spighe risorto» (Tibhirine);  «…Ipnotico incantamento/ magica nenia di/ funebre salmodia sorella/ esorcizzante tenebre/ vitale, rassicurante messaggio/ sussurrato, dolce/ lento conforto sacro/ rugiadoso balsamo» (Ninna - nanne).

Se la condizione di ognuno può essere sintetizzata tramite il concetto di “stabilità in gestazione”, la considerazione critica di quest’ultima induce all’apprezzamento delle sue implicazioni intime, delle conseguenze profonde, spiritualmente preziose: «Altrove temuto e invocato/ le proprie radici a ritrovare/ sorprendente movimento/ stabilità in gestazione./ Viaggio esteriore in/ cammino interiore/ tragitto all’essenza mia/ intuizione d’assopito dinamismo/ indistinta chiamata/ sempre più albeggiante,/ irrinunciabile itinerario/ alle mie profondità/ purificato il pozzo della memoria/ indispensabile rottura della quotidianità./ Addomesticati, familiari pensieri,/ morte le maschere/ della specchiata immagine di me…» (Pellegrinaggio, corsivi miei, come in seguito).

La coscienza problematica dell’autrice focalizza i tanti aspetti della vicenda naturale e umana, attratta dalle particolarità così varie e affascinanti, caratterizzate via via mediante un’accurata e meditata aggettivazione: «Ora che crepuscolo i bagliori/ del vespero in dolci ombre culla/ i tuoi piagati, luminosi piedi abbraccio.// L’amoroso tuo sorriso/ la patina polverosa/ del cuore mio disperda…»(Tramonto); «…Il tuo elastico corpo elegante/ è un eccezionale acrobata esilarante.// I tuoi furbi occhi ambrati/ i padroni han stregati (…) I tuoi cuscinetti molleggiati/ il terreno sfioran felpati…» (Filastrocca puffa); «Abbraccio tronchi/ variopinte erbette accarezzo/ antica fanciulla incantata/ tenero il turchino contemplo.// Tacita danza d’annoso faggio la chioma/ d’autunnale primaverile soffio risvegliata.// Sussurra il silenzio pacificate memorie…» (Romitaggio).

D’altronde porsi in ascolto della “voce del silenzio” consente a Ester Franzil di scoprire importanti segreti: «Invernale silenzio/ vuoti, seminati campi sognanti/ sospeso cielo di cinguettii muto (…) autunnale silenzio vibrante tavolozza di/ sfavillanti, moribonde foglie.// Estivo silenzio meridiano/ grondante sonnolente/ estenuate cicale…/ primaverile silenzio/ germogliante il risorto/ divino mistero» (Ciclico silenzio);  «Voce del silenzio/ sfumata, misteriosa, evanescente/ impalpabile, ineffabile…/ Nella terra, nelle radici/ attendi, fremi, ti celi, urli…/ Silenzio di vette e di ombre/ di sognanti semi/ di neve dal cuore del/ cielo germogliata…» (Prodigioso silenzio).

Alla poetessa non sfuggono le negatività e il dolore che sovente accompagnano e turbano il cammino degli uomini («Velenoso albero/ velenose radici/ mefitica palude/ meravigliosi sguardi/ di violate infanzie/ da adulte nefandezze irresponsabili», Camorra), tuttavia nei suoi versi mai viene meno la fiducia rasserenante di un esito positivo, avvalorato nell’ardita soluzione “ossimorica”: «…Primaverile puro cuscinetto sulla/ chiara bara del papà gioiosamente/ evangelico, trombe d’angeli dormienti,/ nell’attonito morto giardino/ oscurità sfolgorante/ di risurrezione gravida» (Le calle).

A ben vedere la speranza in una prospettiva di finale, riconciliante armonia si fonda su un’antica Promessa: «…Sii te stessa, “gnosce te ipsam”/ interfacciati nella verità/ accetta conflitto, dissenso/ nella luce dello Spirito Santo/ trova punti di contatto/ modello: di Nazareth famiglia…» (Dialogo).

 

Recensione di Floriano  Romboli