Giovanni Mangiapane, nato a Cammarata (AG) nel 1944, è stato sacerdote e parroco della diocesi di Agrigento per cinquantaquattro anni, ordinato nel 1970 e parroco fino al 2023.
Ama scrivere in lingua italiana e in vernacolo, anche versi, con piccoli messaggi augurali, concorsi parrocchiali, epitaffi, ricorrenze di vita.
Preliminarmente nell’addentrarci nella poetica del Nostro, si deve sottolineare che nella sua coscienza di letterato e poeta (e questo è un messaggio fondante per la corretta comprensione dell’ordine del discorso che si vuole trasmettere al lettore), il punto di partenza è il fatto che le poesie sono state scritte in lingua siciliana a poi tradotte in italiano dall’autore stesso.
Nel contesto è doveroso mettere in luce che per Mangiapane quella che lui usa ha una vera e propria dignità di lingua e non (e questo sarebbe riduttivo) di dialetto e ovviamente i lettori siciliani saranno felicissimi di poter leggere ogni componimento con il testo a fronte e avranno una marcia in più per addentrarsi nei meandri del senso.
È presente una acuta e centrata prefazione di Marco Zelioli che afferma che si tratta di un’opera poetica e nello stesso tempo un esempio di devozione che ci guida ad una meditazione fresca (come è fresca e genuina la lingua siciliana), ma assolutamente e rigorosamente valida dal punto di vista pastorale.
Le due parti della raccolta si possono considerare un continuum di riflessioni e di stile.
Le caratteristiche formali e stilistiche del poiein di Don Giovanni sono leggerezza e icasticità e nelle strofe l’uso sapiente della rima crea un piacevole ritmo, una musicalità che è veramente affascinante.
I versi della sezione dedicata al Rosario, che seguono lo schema canonico di questa preghiera con i misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi, nei quali protagonista è Maria Regina sgorgano come purissima acqua di primeva sorgente gli uni dagli altri e incantano il lettore e per chi è credente sono veramente un refrigerio per la mente e l’anima.
Tutto è improntato ad una fortissima chiarezza e trasparenza e i tessuti linguistici sembrano essere stati creati senza sforzo pur avendo una certa quota di complessità che si ritrova in ogni singola strofa.
«Betlemme che tu chiami,/ col sapor del vero pane,/ ti ci porta Re Tiberio,/ con il suo calendario.// Non c’è posto, troppa gente:/ voglion essere presenti/ e una grotta li ripara/ per l’evento della storia…» (Terzo mistero gaudioso: Gesù nasce a Betlemme).
La figura centrale della Madonna emerge felicemente nell’essere nominata con la sua duale identità creaturale e divina nel suo partorire il figlio di Dio del quale come scrisse Petrarca nell’Inno alla Vergine è anche figlia.
Come si diceva nei versi affabulanti si ritrova una notevole freschezza nei dettati e una forte quota di sospensione e magia anima queste mirabili pagine.
Per i cattolici che recitano il Santo Rosario questi versi divengono un segno di meditazione profonda per ogni singolo mistero.
Molto toccanti e profondi anche i versi della Via Crucis dai quali emerge un Gesù in bilico tra trascendenza e immanenza.
«Non è colpa di Pilato/ se Gesù è condannato:/ ci va Lui con il cuore/ a morire con amore…» (Prima stazione: la Condanna) e colpiscono per profondità i versi in rima: «…O gran Vergine Maria,/ la vostra pena è colpa mia» (ibid.).
Una straordinaria trasfigurazione in versi delle vicende evangeliche che diviene esercizio di conoscenza e bellezza nella sua felice armonia.
Recensione Raffaele Piazza