DogMan: la recensione del film di Luc Besson

Una meravigliosa fiaba nera, con Caleb Landry Jones che dà vita a un personaggio straordinario, a metà strada tra Joker e il Charlie di The Whale

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DogMan: la recensione del film di Luc Besson

“Ovunque ci sia un infelice, Dio invia un Cane”. Questa frase comincia il racconto di questa meravigliosa fiaba nera, che vede il suo protagonista vivere in simbiosi con i suoi amati amici a quattro zampe, il cui unico difetto è che “si fidano degli umani”.

Douglas (interpretato da uno straordinario Caleb Landry Jones) ha avuto un’infanzia orrenda, dalla quale è miracolosamente uscito vivo, costretto però su una sedia a rotelle, emarginato dal consorzio umano.

La sua unica risorsa, morale e materiale, sono le sue meravigliose bestiole, che lo capiscono al volo, alle quale è legato con un rapporto empatico incredibile.

Caleb Landry Jones in DogMan

DogMan: una meravigliosa fiaba nera

Il racconto comincia con l’arresto di Douglas, che viaggia al volante di un camion, travestito da donna, con tutti suoi fedeli cani nel cassone del veicolo. La storia si sviluppa lentamente, grazie al dialogo dello sfortunato protagonista con Evelyn (Jojo T. Gibbs ), una psichiatra che lavora per la polizia.

Con una serie di flashback viene lentamente svelato il terribile passato di Douglas, partendo dalla sua infanzia fino agli ultimi drammatici avvenimenti, che hanno portato al suo arresto.

Difficile non farsi risucchiare nel racconto, anche e soprattutto grazie all’incredibile personaggio impersonato dal superlativo Caleb Landry Jones (che avevamo già visto in un ruolo secondario anche nel bellissimo Scappa – Get Out, di Jordan Peel, del 2017), collocabile in un area imprecisata tra Joker, Dr Dolittle e Charlie, il protagonista di The Whale.

Un emarginato, che tuttavia si batte fino in fondo per sopravvivere nelle pieghe di una società inumana, dove le istituzioni non sono in definitiva molto meglio della malavita organizzata.

Ma Douglas riesce comunque a ritagliarsi un suo spazio, riuscendo anche a dar sfogo al suo talento artistico salendo sul palco di un locale per drag queen, alla faccia dell’educazione cristiana che il padre, fanatico religioso, avrebbe voluto somministrargli.

Ma attenzione, in questo film di politically correct non c’è niente.

Perché stiamo parlando di una meravigliosa fiaba nera, dove c’è poco spazio per la verosimiglianza di quanto mostrato, in quanto tutto è funzionale alla costruzione di un personaggio che vuole essere la personificazione della rivincita degli ultimi della nostra società.

E nella lista degli sconfitti in ultima analisi c’è anche Evelyn, madre single di colore che sopravvive accettando tutti i casi disperati per mantenere la sua famiglia, minacciata dall’ex-marito, tossicodipendente e violento.

Ma anche lei riceve un aiuto dal suo incontro con Douglas, che troverà il suo definitivo riscatto nel potente, catartico finale, che strizza l’occhio a quello di The Whale.

Un film da vedere assolutamente. Al cinema. O dovunque volete.

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