Dark Bits: recensione del film di Alessio Liguori

Una pellicola che vorrebbe essere adrenalinica, con un immaginario che si ispira al mondo dei videogiochi, ma si perde in un narrazione confusa

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Dark Bits: recensione del film di Alessio Liguori

Non si dove e quando, Dora (Jordan Alexandra) e Beth (Yvonne Mai) rubano dei non meglio precisati neurochip, per poi scappare in un futuristico capanno perso nei boschi, in una località ovviamente ignota.

Le due protagoniste sono legate da una relazione sentimentale, ma dopo una notte di passione nell’amena e misteriosa località, si accorgono di non essere sole. Uno sconosciuto le sta spiando dalla boscaglia.

Le nostre due eroine non si perdono certo d’animo: Dora è una hacker professionista, Beth è un ex-agente speciale, e messe insieme formano un team già collaudato in precedenti missioni, che sembra non avere paura di nulla. O quasi.

Ovviamente le cose si mettono ben presto molto male per le due giovani donne. Meno male che niente è come sembra essere…

Jordan Alexandra e Yvonne Mai in Dark Bits

Dark Bits: un film che si perde in una narrazione confusa

Nella pellicola assistiamo a due racconti paralleli: le vicende delle due protagoniste dopo il furto e la nascita della loro storia d’amore, che ci viene raccontata con dei flashback ambientati in un non meglio precisato locale pubblico.

Le due storie si mescolano tra loro come l’acqua con l’olio, ma il problema è che le loro vicende sentimentali, con connesse problematiche esistenziali, tracimano anche nel racconto delle loro avventure adrenaliniche nei boschi, con dei dialoghi che appesantiscono la narrazione, non forniscono nessuna informazione rilevante allo spettatore e, soprattutto, spezzano il ritmo della pellicola.

Pellicola che è difficilmente classificabile, oscillando tra storia sentimentale, fantascienza, orrore, thriller, sparatutto in soggettiva alla Hardcore Henry, giocando molto con le citazioni cinematografiche e le inquadrature.

Il risultato finale è però una storia alquanto confusa. Lo spettatore viene abbandonato davanti allo schermo sapendo ben poco del contesto nel quale si muovono i pochi personaggi che animano il racconto, che avviene peraltro in non-luoghi, senza identità e coordinate spazio-temporali.

Hicthcock sosteneva che per creare suspense bisogna dare allo spettatore informazioni che i personaggi del film non hanno, come avviene – per esempio – nel magnifico Quella Casa nel Bosco, splendido film horror a mio avviso citato da Alessio Liguori.

In Dark Bits avviene invece il contrario: le due protagoniste sanno tutto (o quasi), lo spettatore nulla (o quasi). Certo, viene lentamente edotto su come è nato il rapporto tra Dora e Beth e sulle loro problematiche interpersonali ed esistenziali, ma questo non aiuta molto a rendere più godibile un film che si suppone essere d’azione. Anzi.

Certo, molto (ma non tutto) viene spiegato negli ultimi illuminanti cinque minuti della narrazione, ma il problema è reggere i predenti 76. Probabilmente il cinefilo scafato intuisce già quello che c’è alla base della storia, anche perché ormai il mescolamento tra mondo reale e mondo virtuale è da molti decenni il fulcro di numerosi film, a partire da Tron, Atto di Forza, Dark City e Matrix, per citare solo alcune delle pellicole più famose.

Peccato, perché fornendo qualche informazione in più allo spettatore, e magari pulendo il racconto da inutili orpelli narrativi, dando una direzione più precisa al racconto, il film sarebbe stato molto più godibile, da subito. E si sarebbe dato la possibilità agli attori di esprimere meglio il loro potenziale.

Sarà per la prossima volta.