RECENSIONE
IL FIORE CHE TI MANDO L’HO BACIATO dal carteggio 1913/1915 tra Stamura Segarioli e Francesco Fusco.
Napoli. 20 e 21 febbraio 2024. Casa del Contemporaneo ovvero Sala Assoli. Regia di Antonio Grimaldi, scrittura scenica e drammaturgica di Elvira Buonocore, con Annarita Vitolo. Il lavoro è prodotto dal Centro Studi Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo, lo spunto risale a 10 anni fa quando, in occasione del centenario della Grande Guerra, Antonia Lezza, docente del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Salerno, tenne un corso di Letteratura dal titolo “Storia, storie e testi. La Grande Guerra degli scrittori”.
Un cofanetto, in mogano e argento, al centro della scena, contiene lettere scritte a mano tra le piaghe della guerra. Aprire lo scrigno non è semplice commemorazione, perché ad un passo da noi i conflitti bellici accerchiano ancora le nostre vite, e questo, la delicatezza della messa in scena, lo tiene ben presente.
Una donna, in abito bianco, si accarezza il volto mentre la grafia del suo uomo prende forma nei pensieri, tra sottofondi musicali che spaziano dal Trio Lescano a Ryuichi Sakamoto. Sappiamo già come andrà a finire. “La terra mi si è gettata addosso. Francesco è morto in guerra, il 2 agosto 1915, la polvere mi si è raccolta in grembo”. Scrivere è una questione di tatto, baciare un fiore è una questione di interiorità "sensata"; già dal titolo capiamo che lo spettacolo sarà una ricerca dei sensi.
Il carteggio viene assaporato, odorato, osservato, ascoltato.
Il corpo scenico abbracciato, stravolto, azzittito. Annarita Vitolo muove o ferma l’aria, a secondo del perimetro di speranze che analizza.
Francesco, il suo amato, è l’altro bordo della storia, la sua intensità trattiene persino la luce sul volto di lei. Sarebbe stato facile farne una messa in scena affidata alla bravura dell'attrice e allo spessore della drammaturgia, il fior fiore della borghesia teatrale avrebbe comunque apprezzato, ma Grimaldi non ci è riuscito.
Da artista, ha cercato “in ogni angolo delle parole qualcosa che potesse rendere più forte la visione dei due amanti”. Questo non è stato il solito lavoro melenso per ritoccare foto sbiadite dei nostri antenati, raramente ricerca storica e prassi teatrale possono vantare di una squadra così forte per unità di intenti e di tonalità intime.
L' interprete, anzi, gli interpreti, cercano nelle cavità di un sentimento che non è più questione privata, non è più neanche una questione di Grande Guerra. Corpo e parole sono gesti piccoli, silenti, pieni di grida interiori, la Vitolo ci restituisce la fermezza di una donna che potrebbe appartenere ad ogni epoca storica, perché fatta di spaziamenti emotivi.
Nella messa in scena, di tanto in tanto le epistole vengono lette fuor campo dalla voce materica dello stesso regista. Ogni momento di ascolto è una posa fisica, uno scatto nella sospensione. Riusciamo ad immaginare quello che in sala non si vede. Siamo di fronte ad una lezione di teatro a tutto tondo.
Viviamo l’attesa così come può essere intesa dopo l’accettazione di un fatto drammatico, potente ma innegabile. Un ventilatore, visibile nel suo artificio, mescola ogni frase vissuta, rinata e dimenticata. Un medico e una maestra elementare sono lo spunto storico per ripensare la vita, attraverso "due fragilità che avrebbero potuto toccarsi in scena se glielo avessi permesso" scrive Grimaldi nel Quaderno dell’Associazione Centro Studi sul Teatro Napoletano Meridionale ed Europeo, edito dalla Libreria Dante & Descartes, Napoli 2024.
Gli applausi sono per le vibrazioni di verità antiche e recenti. Il percorso di studi e la sua scrittura scenica hanno ricucito una trama che si è avvalsa di intuizioni universali, comprese nel nostro essere “gli uni negli altri” come inteso da Nancy, a fior di pelle.
Il ricordo dell'amore raccontato è traccia del destino umano e della sua con-sistenza attraverso piccoli e grandi simboli.
corrispondenza da Napoli: Anita Laudando