Cronaca di una prova aperta: "Il Testamento" di Ciro Russo

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Cronaca di una prova aperta: "Il Testamento" di Ciro Russo


                                                  **** RECENSIONE  ****

Napoli. 9 e il 10 marzo 2024. Leggiamo su una testata on line che presso il “TheatrON sarà rappresentato un testo inedito: “Il Testamento”, autore Ciro Russo. La commedia brillante in 2 atti si avvale dell’adattamento di Maria Autiero, rara e prestigiosa firma femminile nella regia teatrale campana. Anche la produzione è una garanzia: “Non Solo Sipario”. Ci incuriosiamo, e impossibilitati ad assistere al debutto, con enorme generosità veniamo premiati per l’interesse ed accolti alla prova generale. Ci troviamo nei pressi di Piazza Nazionale, precisamente in via Luigi Vista 14, entriamo in una sala in pieno stile anni ’60, eppure si sente tutto il fermento del teatro contemporaneo. Ciro Liucci da direttore artistico ci presenta la stagione teatrale (che consigliamo vivamente di seguire), gli attori sono in fase di ambientazione dello spazio, il direttore di scena, Claudio Grieco, supervisiona l’allestimento e ci prepara un buon caffè. La tensione è palpabile: “c’è un critico in sala”. Roba d' altri tempi. Siamo nel flusso vivo di un' operazione artistica e ci accorgiamo subito dell'energia del gruppo. Ci accomodiamo al centro della platea come testimone assoluto del “Testamento” che sarà svelato in scena. Vista l’accoglienza, ci sentiamo a casa, fra qualche puntamento da ricalibrare, e qualche attrezzo da ricollocare, la sala si spegne e Maria Autiero dichiara l’inizio della prova.
Il plot si innesta sulla morte di un grottesco zio della famiglia De Simone. Carlo (Fausto Bellone) è un teatrante con la mania di fare dirette social, convive con Adele (Federica Avallone), giovane scrittrice di Rovereto che con ironia si lascia coinvolgere in dinamiche familiari universali, ma dalle tinte partenopee. I due interpreti aprono con freschezza e modernità il set ambientato nel terrazzino di una abitazione qualunque. Arriva la notizia inaspettata di una possibile eredità ed inizia la farsa.
La regia gioca su un contrasto che funziona, alla coppia attuale, fatta di disinvoltura giovanile e dialoghi quasi cinematografici, segue il contrappeso di una doppietta molto caratterizzata: Rosaria Russo e Ester Benedetto sono le zie che ognuno vorrebbe avere in famiglia. Le adoriamo subito, con maestria strizzano l’occhio a Scarpetta, puntellando di stile una storia dall’intreccio semplice ma efficace.
In modo fluido e pulito, il primo atto sfocia nel secondo, nel salone del notaio. Nessun cambio di troppo, il mood resta lo stesso, il passaggio dall’esterno all’interno riesce bene con pochi elementi, senza alterare lo status preparato in precedenza.
Il notaio è una donna, un personaggio che ci piace perché evolve, lo vediamo attraversare il palco più volte prima di svelare il suo ruolo e ci resta il dubbio di una certa complicità di intenti con il defunto zio, motore vivo della vicenda. Quale sarò il retroscena che non abbiamo visto? Questa intrigante trovata registica è affidata ad Antonella Grieco, che funge da baricentro delle scoppiettanti dinamiche da cui è circondata. Decisamente divertenti, con un modulo recitativo popolare, zio Peppino (Giuseppe Di Rosa) e l’esuberante zia Cettina (Patrizia Doria) sono state maschere presenti e godibili pienamente anche grazie a qualche colpo di scena. Non ultimo, zio Michele, militare in pensione, tenero e pieno di risorse, interpretato da Alberto Pagliarulo che con il suo innato slancio comico crea un sottile tormentone: “Non opprimere”; sorridendo, lo ripetiamo fuori dal teatro come un mantra. Ovviamente non sveliamo trama e finale, ma diremo che abbiamo sinceramente applaudito. Lo spettacolo convince proprio perché ogni attore è una nota diversa, per esperienza, per caratteri, per stili di appartenenza. Maria Autiero ha puntato su un testo nuovo, e con i dovuti tagli, ha fatto leva sulle relazioni interpersonali di una famiglia un po’ sgangherata. Abbiamo riso e sorriso ma anche percepito il legame tra recita e vita attraverso un’orchestra di comportamenti, quelli che il sociologo Goffman definiva “i piccoli, infimi, rituali della vita quotidiana” che fanno da raccordo tra realtà e palcoscenico.

Anita Laudando corrispondente da Napoli