Creed 3: la recensione del film di e con Michael B. Jordan

Michael B. Jordan, esordiente alla regia, realizza una pellicola con scene di combattimento molto curate, ma poco originale e assai prevedibile.

3 min read
Creed 3: la recensione del film di e con  Michael B. Jordan

Creed 3 comincia con l’ultimo incontro di box sostenuto da Adonis Creed (Michael B. Jordan), ovviamente da lui vinto, prima del suo ritiro dorato alla Delphi Boxing Academy, dove si impegna a promuovere il rampollo della sua scuderia, Felix “El Guerrero” Chavez.

Il luccichio di una vita sfarzosa e di successo nasconde in realtà molte difficoltà personali che Adonis fatica ad affrontare. Sua moglie Bianca (Tessa Thompson) ha dei problemi all’udito e ha rinunciato alla sua carriera di artista per diventare una produttrice di successo. Tra loro le cose non sono più splendide come una volta, i due hanno problemi di relazione.

La madre adottiva di lui è molto malata e ha bisogno di continue attenzioni, mentre la loro figlia Amara manifesta dei disturbi comportamentali, scazzottando le sue compagne di scuola.

Ma i veri problemi emergono dal lontano e scomodo passato, che Adonis pensava di essersi lasciato alle spalle per sempre.

Damian Anderson (Jonathan Majors, che abbiamo visto nel recente e insipido Ant-Man and The Wasp: Quantumania) è un suo vecchio amico fraterno, che è appena uscita di galera dopo avere scontato diciotto anni di reclusione per avere coperto il giovanissimo Adonis, finendo in cella al posto suo.

Un triste destino che gli ha impedito di diventare il pugile di successo che sognava di essere, costringendolo per di più ad assistere alla travolgente carriera di Adonis, che aveva iniziato ai segreti della boxe.

Damian chiede aiuto ad Adonis, che all’inizio gli concede di diventare sparring partner per allenare  Felix “El Guerrero” Chavez. Ma l’ex galeotto ha ben altre ambizioni, ed è deciso ad arrivare al titolo mondiale, costi quello che costi, e senza farsi troppi scrupoli nei confronti dell’ormai ex-amico fraterno…

Creed 3: un film modesto e scontato, comunque buono per due ore di intrattenimento senza pretese per gli amanti del genere

La pellicola mette in scena lo scontro tra Adonis e il suo passato, con cui ancora non ha fatto la pace, regalando allo spettatore molte scene di combattimento, curate nei dettagli e molto apprezzabili, specie per gli amanti del pugilato e di questo tipo di film.

Per il resto, stiamo parlando di un prodotto commerciale modesto e scontato, realizzato mettendo insieme tutti i luoghi comuni e le situazioni già viste e riviste nei film di Rocky e dei precedenti Creed.

Per la prima volta nella saga, nel film manca il personaggio di Rocky Balboa, e l’assenza si nota. Michael B. Jordan è al suo esordio alla regia, ruolo nel quale non ha per niente brillato.

Ci sono poi alcuni aspetti, non prettamente cinematografici, che mi hanno lasciato parecchio perplesso. In primo luogo la superficialità disarmante con la quale viene trattato il disturbo comportamentale della piccola Amara, bulla in erba intenta a risolvere le dispute tra bambine a cazzotti in faccia, a cui il padre dedica amorevoli lezioni di box, guardandosi bene dall’affrontare il problema di relazione in profondità.

In secondo luogo il villain della storia, Damien, è… molto poco villain. In effetti il poveraccio è stato sepolto vivo in galera per diciotto anni solo perché ha volutamente protetto il giovanissimo Adonis, che poi si è guardato bene dall’andarlo a trovare o scrivergli di sua iniziativa, anche solo una volta.

Logico che appena uscito di galera cerchi una rivalsa nei confronti di chi lo ha in definitiva tradito. Semplicemente imbarazzante poi la posizione di Bianca, che invita il marito a non sentirsi in colpa per quello che era successo.

Al di là del fatto che è poco credibile che un uomo esca di galera con un livello di preparazione agonistica che lo rende capace di stendere al tappeto il detentore del titolo mondiale, personalmente mi sentivo quasi di prendere le parti di Damien.

Anche se stiamo parlando di un prodotto commerciale senza pretese, il messaggio morale che inevitabilmente veicola è alquanto discutibile.

A parte queste considerazioni, specie per gli amanti del genere, il film assicura comunque due ore di onesto intrattenimento. Al cinema.

Related Articles