Trieste. “Tutto può la volontà” era solito dire Giulio Viozzi a Dario De Rosa, pianista del Trio di Trieste, una delle formazioni emergenti del panorama musicale triestino nei primi anni ’50, destinata poi ad imporsi incontrastata a livello nazionale ed internazionale per circa mezzo secolo, cui è dedicata la seconda conferenza concerto, organizzata dal Comune di Trieste mercoledì, 6 novembre 2024, presso la Sala “BobiBazlen” del Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl” di Trieste alle ore 17.30, in occasione del secondo appuntamento del mini-ciclo “La Musica da Camera di Giulio Viozzi”, rassegna storico-musicale organizzata dal Comune di Trieste in occasione dei 70 anni del ritorno di Trieste all’Italia. Protagonisti saranno Marco Favento (violino), Massimo Favento (violoncello) e Corrado Gulin (pianoforte) del Gruppo Strumentale Lumen Harmonicum, coadiuvati per i contributi musicologici e aneddotici da Corrado Maurel, pubblicista e critico musicale.
Dario De Rosa, che non lesinava ironia nel descrivere l’inguaribile attivismo musicale e culturale di Viozzi, lo paragonava a Emil Zatopek, “l’uomo cavallo”, leggendario atleta alle Olimpiadi di Londra negli anni ’50. Eppure nel descrivere tale metodica efficienza, De Rosa forse non si accorgeva che stesse parlando anche di sé e dei suoi due compagni d’arte: Renato Zanettovich e Libero Lana. In occasione del loro settecentesimo concerto (lunedì, 16 maggio 1955), Viozzi scrisse che “la loro Arte, che non conosce rivali, non ammette soste nel suo cammino ininterrotto. Non bastano i limiti della trascendenza: il Trio di Trieste cerca e scopre nuove zone di espressione sonora, nuove verità nel cielo più alto della verità musicale”. Forse è sulla scia di questa esaltazione che nel 1956 Giulio Viozzi compose, e dedicò loro, il suo Trio per violino, violoncello e pianoforte, opera complessa in tre movimenti (Incontro, Canzone, Rapsodia). Componendola, Viozzi, uomo dall’inesauribile humor quotidiano, forse si divertì a prendere in giro la proverbiale fusione tecnica dei suoi amici del Trio di Trieste: nell’Incontro gli strumenti sembrano “non incontrarsi mai”, visto il continuo inseguirsi contrappuntistico che sembra più una corsa ad ostacoli che un cammino congiunto; parimenti la Canzone, a parte lo spunto iniziale (poi ripreso alla fine), è una sistematica ricerca di un tema che fa penare chi suona e chi ascolta; la Rapsodia, infine, mette insieme ritmi jazzistici alla Dave Brubeck(Take Five + due!) con una singolare marcetta, tra Casella e Stravinskij, tesa a “far deragliare” prima o poi gli strumenti. Che Viozzi si sia ingegnato per rispondere ironicamente al paragone con Zapotek? Non lo sapremo mai… Resta il fatto chequesto Trio è forse l’opera da camera più a rischio esecutivo di quelle composte in quel periodo. È il caso di notare che l’attaccamento di Viozzi agli strumenti ad arco, soprattutto violino e violoncello, va al di là del rapporto con il Trio di Trieste: la singolare Serenata per violoncello e pianoforte, scritta nel 1933, è uno dei suoi primi brani. Lo stile risente ancora tantissimo della “scuola” del primo ’900 e la ricerca della cantabilità un dovere necessario per la valorizzazione dello strumento, caratteristica presente anche in Pensiero (scritto nel maggio del 1938 in memoriamdell’amico Corrado Valdiserri) e nella Prima Sonata per violino e pianoforte, opera ancora di brevi proporzioni, composta nel febbraio del 1946, ma già con le tracce degli stilemi che negli anni ’50 forgeranno definitivamente la linea estetica del compositore.
E. L.