Ollie Cross (Tye Sheridan) è un giovane paramedico alle prime armi come componente dell'equipaggio di un'ambulanza, che presta servizio in un quartiere malfamato di New York.
Al suo fianco c'è l'esperto Gene Rutkovsky (Sean Penn), molto bravo e pragmatico, ma insofferente alle regole in generale e ai protocolli medici in particolare.
I due affrontano una serie d'interventi particolarmente impegnativi, alle prese con drogati, scontri mortali tra gang rivali, spacciatori, mariti violenti, barboni e diseredati di tutti i tipi.
Il racconto diventa sempre più teso, i due protagonisti si trovano a camminare su un sentiero sempre più sottile e incerto, al limite del collasso psicologico.
La situazione sembra avvitarsi sempre di più, in un mondo apparentemente senza speranza e possibilità di redenzione.
Città d'Asfalto: un film impegnato e di forte impatto
La pellicola racconta una storia molto sottile, di fatto può essere visto come un viaggio verso gli abissi interiori dell'animo umano, mettendo in scena le peripezie di un gruppo di paramedici in azione in un ambiente ostile, popolato da personaggi miserabili.
Le scene degli interventi sono incredibilmente realistiche, grazie a un uso molto efficace della camera a mano e dei primi e primissimi piani, mantenendo il focus sia sui volti dei protagonisti che sull'ininterrotto flusso di azione.
Gli attori sono veramente in stato di grazia, recitando per sottrazione, in particolare l'inossidabile Sean Penn, che dà il suo volto a un personaggio che per alcuni aspetti, come l'eterno stuzzicadenti in bocca e le sue frequenti inquadrature che lo riprendono alla guida di un veicolo, ricorda quello che ha impersonato nel recente Una Notte a New York.
Ma in Città d'Asfalto lui è del tutto disilluso, e si ritrova ad affrontare i suoi demoni interiori, in contrasto con l'atteggiamento di Ollie, votato al servizio dei cittadini e comunque impegnato a migliorarsi, nonostante tutte le difficoltà.
Questo film, ricco di simbolismi religiosi, può essere visto anche come uno scontro tra le forze del bene e quelle del male, raccontato però non in modo manicheo, bensì combattuto in un'area grigia dove è veramente difficile mantenere la barra dritta, a causa soprattutto dell'ostilità incredibile dell'ambiente degradato dove si muovono i paramedici.
I ruoli femminili sono secondari, e sembrano quasi creati per sottolineare l'isolamento dei protagonisti, che vivono una vita di fatto solitaria e disperante, in un vortice di azione che non lascia tempo per riflettere e pianificare la propria vita.
E Città d'Asfalto vuole dichiaratamente essere anche un omaggio all'eroica attività dei paramedici che lavorano in certi quartieri a New York, in condizioni spesso veramente estreme. Un omaggio pienamente riuscito, a mio avviso.
Certo, il film non è per tutti, per l'incredibile crudezza di molte scene, praticamente un vero pugno nello stomaco per i più sensibili, e il ritratto senza veli che viene fatto di certi quartieri, di fatto una terra di nessuno in mano alla malvivenza e al degrado più inumano.
Di certo Jean-Stéphane Sauvaire se ne è bellamente fregato del polically correct: anche se non mancano i paramedici bianchi e razzisti, la feccia di New York è invariabilmente di colore.
Un elemento a mio avviso stonato nel film è la piccola parte assegnata a Mike Tyson, quella del capo dei paramedici. Un cameo di scarsa importanza e significato, utile forse solo a sottolineare le qualità recitative non eccelse dell'ormai leggendario pugile.
Un film fuori dagli schemi che vale veramente la pena di vedere, a mio avviso.
Al cinema.
Astenersi gli animi sensibili.