Prima guerra mondiale. Stefano (Gabriel Montesi) e Giulio (Alessandro Borghi) sono due ufficiali medici italiani, che lavorano in un opedale intasato di feriti provenienti dal fronte.
Stefano è convinto della necessità di combattere e vincere la guerra, e cerca in ogni modo di individuare gli autolesionisti per inviarli al fronte, dove c’è fame di carne da cannone, visto che la disfatta di Caporetto ha appena messo in ginocchio l’Italia.
Giulio ha una visione del mondo completamente diversa, si rende conto che la guerra è una cosa mostruosa e inutile, e prova molta empatia per tutti i militi ricoverati dell’ospedale, la maggior parte dei quali farebbe di tutto pur di non ritornare al fronte.
Nonostante i due medici siano amici d’infanzia, la loro disparità di vedute comincia a provocare scintille, anche perché ben presto Stefano si rende conto che c’è qualcuno che aiuta i soldati a evitare il ritorno sui campi di battaglia.
Arriva in ospedale una nuova infermiera, Anna (Federica Rossellini), fatto che non sembra rasserenare il rapporto tra i due ufficiali.
Ciliegina sulla torta, arriva l’influenza spagnola, che miete vittime tra civili e militari…
Campo di battaglia: un garbato atto d’accusa contro gli inutili orrori della guerra
Questo film mostra molto poco degli orrori di guerra della prima linea, concentrandosi invece su quelli degli ospedali militari.
Il campo di battaglia a cui allude il titolo è probabilmente prima di tutto quello morale, uno scontro frontale tra due modi inconciliabili di considerare l’etica che deve guidare l’azione di un medico, una al servizio dell’essere umano, l’altra puro strumento di un senso del dovere senz’anima, utile al potere di una casta di ufficiali che se ne sbatte delle mostruosità che devono sopportare i soldati in guerra.
In mezzo c’è Anna, contesa tra due visioni del mondo opposte, incarnate dai due ufficiali che le si muovono intorno, e nei confronti dei quali si difende con una scorza di gelo che nasconde un profondo conflitto interiore.
Tutti e tre i personaggi alla fine sono dei perdenti, incapaci di muoversi in modo efficace in un mondo in cui in definitiva si è persa la speranza, nonostante la vittoria finale delle truppe italiane.
Una vittoria che lasciò molti con l'amaro in bocca, che molti nazionalisti considerarono mutilata, tanto che diede origine ai semi su cui germogliò il fascismo, come ci ha insegnato la storia.
Una situazione molto difficile, a cui si aggiunse la beffa di una pandemia che riuscì a mietere più vittime dei cannoni, e nei confronti della quale non era possibile stabilire nessuna linea di difesa.
Il film è narrato con lentezza e grande cura formale, però guardandosi bene dal mostrare gli esiti reali dell’accennato triangolo amoroso, che rimane sospeso nell’aria, alludendo ma mai dichiarando, una linea stilistica che segue tutti gli aspetti della narrazione.
Per esempio, Giulio riesce veramente a trovare una cura al terribile morbo, prima di accasciarsi al suolo, forse sfinito o forse morto? Non lo sapremo mai, anche sorvolando sul fatto che scientificamente parlando l’influenza non si cura con gli antibiotici, a cui il medico sembra alludere.
Insomma questa pellicola è un lavoro pregevole, ma non osa mai, si limita a suggerire con garbo e moderazione.
Anche perché gli orrori della guerra sono così mostruosi che è impossibile non condannarli, anche davanti a una narrazione timida, per quanto formalmente impeccabile.
E quindi il frettoloso finale può lasciare qualche perplessità nello spettatore, che magari avrebbe desiderato un film meno garbato e più esplicito.
Questione di gusti, ovviamente.