Barbieland è un mondo perfetto in tonalità rosa, popolato dalle innumerevoli versioni di Barbie e Ken. Ogni giorno è meraviglioso, dominato da sentimenti positivi e apparentemente destinato a riprodurre le stesse dinamiche buoniste fino alla consumazione dei secoli.
Unica nota stonata nell’idillio, a Barbieland comandano le donne. I vari Ken sono infatti contenti nella misura in cui riescono ad attirare l’attenzione delle Barbie, e – tra l’altro – nessuno ha idea di dove vivano, visto che tutte le case appartengono al genere femminile.
Di fatto Barbieland è un matriarcato: tutte le posizioni di comando appartengono alle donne, che sono autosufficienti e ben realizzate, con i vari Ken ridotti a funzione coreografica e di arredamento.
La protagonista della nostra storia è una Barbie nella versione stereotipo (Margot Robbie), che trascorre tutte le sue giornate allo stesso modo, assieme al suo (pseudo)fidanzato Ken (Ryan Gosling), con il quale ha un rapporto idilliaco, ma pre-programmato e asessuato.
Tutto sembra procedere per il meglio, ma a un certo punto la nostra eroina si accorge di avere dei problemi: prima condivide durante una festa le sue preoccupazioni sulla propria mortalità, provocando un temporaneo congelamento di Barbieland, poi si accorge di avere i piedi piatti e di stare sviluppando la cellulite.
Si rivolge a Barbie stramba, una versione relegata a vivere in un casa isolata assieme ad altri emarginati, che le spiega che la sua unica possibilità di salvezza è andare nel mondo reale ed incontrare la bambina che gioca con lei.
Comincia il viaggio della nostra eroina, con al seguito l’inutile ma coreografico Ken…
Barbie: un film pseudo-femminista che si prende troppo sul serio
I nostri due protagonisti scoprono ben presto che il mondo reale è dominato dal patriarcato. Tutto il consiglio di amministrazione della Mattel è costituito da uomini, anche se si comportano in modo cialtronesco e infantile, per alcuni aspetti simile alle loro controparti a Barbieland.
Ken rimane affascinato da questo modello sociale e prova a introdurlo nel suo mondo di origine, ma la manovra viene stroncata dalle varie Barbie, che con metodi bambineschi riescono a ricondurre la loro controparte maschile al ruolo di tappezzeria.
In effetti c’è un pallido tentativo di catarsi finale, che vorrebbe (forse) dare l’idea che entrambi sessi dovrebbero in qualche modo essere maggiormente autonomi l’uno dall’altro, fermo restando che il potere vero deve rimanere alle donne, che comunque benevolmente sono disposte a lasciare ai maschietti qualche carica secondaria nel lontano futuro, come contentino ai loro lacchè.
Se Greta Gerwig avesse avuto maggior coraggio, il film avrebbe potuto essere una stupenda occasione per una efficace e coinvolgente satira sociale. Un’occasione mancata, perché la storia e le situazioni mostrate si sarebbero prestate benissimo a una satira dissacrante del nostro mondo, sotto diversi punti di vista.
In effetti nel film ci sono diversi siparietti comici, che alle volte fanno perfino sorridere, ma è stato scelto di schiacciare tutta la narrazione su uno pseudo-femminismo didascalico, con molti personaggi impegnati nel declamare pipponi autoreferenziali contro il patriarcato, che francamente lasciano il tempo che trovano.
Ma veramente il mondo sarebbe migliore con gli uomini ridotti al ruolo di gentili e lacrimosi cicisbei? Francamente è lecito dubitarne.
Barbie: un film mediocre, ma un buon spot pubblicitario per la Mattel, destinato comunque ad avere successo grazie a una imponente campagna di marketing
Il film dura quasi due ore, che alla fine si sentono tutte. La narrazione prosegue in modo lento e prevedibile, e la perfezione tecnica di Barbieland non può certo ovviare a una storia senza mordente, stucchevole e ricca di dialoghi inutili, stendendo un velo pietoso sui peana pseudo-femministi.
Se come prodotto cinematografico nel complesso questo blockbuster lascia alquanto a desiderare, invece funziona molto bene per il marketing della Mattel, e probabilmente avrà un successo clamoroso al botteghino, grazie anche a una massiccia e ben disegnata campagna promozionale, bene esemplificata dall’efficace promo che cita l’inizio di 2001: Odissea nello Spazio.
Una scena che compare in effetti all’inizio della pellicola, mettendo di buon umore anche lo spettatore cinefilo, creando grandi aspettative.
Aspettative che vengono disattese dopo la prima mezz’ora di soporifera e stucchevole narrazione. Ma probabilmente il pubblico target di questa pellicola non è il sempre più ristretto mondo dei cinefili, ma quello delle giovani – e meno giovani – amanti dei prodotti della Mattel. Che accorreranno comunque a frotte a vedere questa pellicola, a lungo pubblicizzata e da molti attesa.
Ma vabbè, la settima arte è anche questo.
Anche se francamente al cinema c’è molto di meglio da vedere in questi giorni.