Palazzo Cavanis, affacciato sulle Zattere, ospita fino al 23 novembre la mostra ALPS. ARCHITECTURE. SOUTH TYROL., inserendosi nel contesto delle rassegne legate alla Biennale di architettura 2025.
Curata da Filippo Bricolo, l’esposizione mira a mostrare le possibili risposte a una serie di domande, sorte dal dialogo continuo e inevitabile tra territorio e architettura. In particolare, si è chiesto il curatore, si può parlare di architettura altoatesina? E se sì, cosa la caratterizza?
Lo spettatore viene così portato in una serie di ambienti ospitanti pannelli che offrono alla sua vista progetti e fotografie della loro realizzazione nel territorio altoatesino. Si tratta dei 28 Main Projects e delle 28 Special Mentions, selezionate tra oltre 240 candidature seguite da visite in loco da parte della giuria. Ogni pannello è corredato di una spiegazione su supporto in legno che offre informazioni sui singoli progetti.
Architettura, territorio, arte e natura: sono queste le parole chiave che ricorrono nello spazio espositivo e che sono oggi oggetto continuo di discussione, singolarmente e in relazione tra loro. L’Alto Adige offre di fatto diverse opportunità di declinare questa relazione. Veniamo portati a riflettere in particolare sul legame che intercorre tra tradizione e contemporaneità, altra tematica molto sentita, oggi più che mai. Come si può agire sulle costruzioni tradizionali, mantenendone funzione e valore locale? Una sezione della mostra parla ad esempio del “riuso riflessivo”, che consiste in un “atteggiamento critico e interpretativo che apre un dialogo con il preesistente”, a differenza della attuale tendenza in cui gli interventi nuovi sono visibilmente marcati rispetto al vecchio.

Anche l’architettura vernacolare, cioè uno stile costruttivo che utilizza materiali e tecniche tradizionali, viene tradotta qui attraverso “vernacoli plausibili”, che si manifestano non come semplici riproposizioni di stilemi del passato, ma come riletture attive e critiche della memoria locale.
L’unione con il passato però va letta non solo come richiamo alla tradizione, ma anche come attenzione al paesaggio in senso naturale, alla topografia. Si parla qui di “topografia partecipata”, un’unione stretta e sentita con la natura che permette le costruzioni: rocce, alture, boschi, sono tutti elementi con cui le costruzioni cercano di fondersi in un armonico dialogo.

Unione, dialogo, riproposizione: tutti termini che indicano un avanzamento bilanciato, che tenga conto della base da cui sta muovendo i passi. È evidente in particolare nel progetto della città di Merano. Durante gli scavi del Castello Principesco, infatti, sono emerse le basi delle vecchie mura di cinta. Da qui sono stati eretti profili in acciaio che ne rievocano le dimensioni originali. Una serie di gradini di accesso fungono da sedute. Non si parla chiaramente solo di recupero, ma anche di valorizzazione: il passato viene fatto rivivere nel presente, con la trasformazione in spazio pubblico.

Così la mostra ci offre la possibilità di riflettere sul legame tra passato e futuro, e di ripresa del passato in ottica funzionale. La tradizione locale sta perdendo sempre meno importanza oggi, a causa del progressivo potere preso dalla massa, che cancella e ingoia ogni particolarità in nome dell’universalità. Far rivivere il passato diventa così un modo per prendere consapevolezza del futuro: la materializzazione di questa ripresa, come a Merano e come in altri progetti esposti, ci aiuta a toccare con mano la base su cui si fonda la nostra identità.
Link al sito del progetto: https://alps-architecture-southtyrol.com/